Dalla Liguria con furore, i Belzer alla conquista dell’Europa con un sound unico.
Il grosso problema delle band italiane è quasi sempre l’assoluta mancanza di un’identità vera e profonda che le distingua l’una dall’altra. Non è questo il problema dei Belzer. E questo è un paradosso in realtà, poiché questa giovane, ma esperta band ligure ha cambiato forma e identità più volte negli ultimi dieci anni di attività, eppure il risultato del loro ultimo lavoro “Piccoli oggetti meccanici” risulta, appunto, una macchina neanche troppo piccola che funziona perfettamente e soprattutto con coerenza.
È vero, i Belzer nonostante i tanti anni di musica live e lavori in studio, non sono usciti a sufficienza dalla realtà musicale ligure che comunque riconosce loro la dignità che meritano; oggi però Giulio Belzer (voce, pianoforte e chitarra), Guido Bruzzone Semino (basso), Luciano Zambito (batteria) e Massimiliano Breveglieri (chitarra), hanno tutto ciò che serve per farsi sentire, a mio parere, a livello europeo.
La loro musica inizia a circolare tramite tre E.P. autoprodotti: Un passo nel vuoto (2003), Sotto un’altra luce (2004) e Yuyin (2005). Dopo aver maturato una solida esperienza live che li ha portati ad aprire nel 2007 i concerti genovesi di Giorgio Canali e dei Perturbazione, i quattro musicisti escono nel 2009 con il loro album: “L’ultimo giorno d’inverno”. In questo processo sono stati aiutati da saggi ingegneri musicali come Mauro Sabbione (Matia Bazar, Litfiba) e Marco Fadda (Fossati, Oxa) che hanno arricchito, con i loro preziosi componenti, alcuni brani dell’album.
Il lavoro è convincente. Mette insieme sonorità elettroniche alla Subsonica d’altri tempi con una poetica talvolta magicamente ermetica, ma trascinante che mi ricorda la cantantessa Carmen Consoli per certi aspetti. Personalmente si scorgono alcune ingenuità nei testi, nella scelta spiazzante di alcune parole troppo facili per reggere ad un sound così internazionale, ma in generale l’album intero non solo si lascia ascoltare bensì ogni “piccolo meccanismo” lascia una traccia nell’anima e nelle orecchie in modo davvero sorprendente.
“L’ignorante”, “Precauzione”, “Orbite” riescono a farti entrare in un ingranaggio viscerale che non si inceppa mai e trasmette quella vibrazione che non ricordavo dai tempi dei Verdena. Tanta stima. Ma sono testi come quelli de “L’ultima parola”, “Un attimo” che ti portano via, che ti fanno chiudere gli occhi per non lasciarti distrarre.
Così a sensazione, credo che il lavoro in studio, sebbene ottimamente arrangiato e registrato, non renda giustizia alla voce di Giulio che con il suo timbro inconsueto e anche un pò naif riesce a dare il meglio di se quando sorride di fronte al suo pubblico.
“Le riflessioni sulle tante sfaccettature di questa realtà sono alla base di Piccoli oggetti meccanici. Un non-concept che raccoglie dieci nuovi brani nei quali si indaga sui riflessi degli automatismi (indotti e non) nella mente e nella vita quotidiana. Dieci piccole rappresentazioni dei condizionamenti della psiche e degli invisibili meccanismi che guidano la società moderna”. Così dicono loro e hanno ragione. In questo album si parla di cose vere, di emozioni forti che il nostro corpo recepisce come può, senza farsi troppo male, ma senza lasciarsele scivolare. Buon ascolto gente.
Articolo di Mario Acampa