Intervista al duo toscano dei Cécile, in occasione dell’uscita del loro EP d’esordio intitolato “La fine della festa”
Una dimensione sospesa tra realtà e sogno, tra presente e ricordo, così i Cécile descrivono il loro EP d’esordio “La fine della festa“, un viaggio nel loro mondo fatto di influenze e di esperienze di vita vissuta. Loro sono Tommaso Mori e Stefano Sestani, rispettivamente classe ’97 e ’98, conosciamoli meglio.
C’è un filo conduttore che unisce queste cinque canzoni?
«Stilisticamente abbiamo cercato di dare un’identità precisa all’insieme, con la scelta dei suoni e dell’arrangiamento. Sotto questo punto di vista ci riteniamo abbastanza soddisfatti ma, come è giusto che sia, ogni brano alla fine si differenzia in modo netto dagli altri. Sicuramente il grande elemento di continuità è il sax, che infatti è presente in ogni brano, come una seconda voce esterna che fa da commento al cantato. A livello testuale invece, come si intuisce dal titolo, i due notturni che aprono e chiudono l’EP si possono considerare come due momenti catturati all’interno della stessa storia».
Dal punto di vista narrativo, cosa avete avuto l’urgenza o il bisogno di raccontare?
«Dentro ai brani dell’EP c’è sicuramente un bisogno di raccontare esperienze nostre, attimi di vita vissuta però sempre rielaborati e sfrondati da eccessi di personalismo, così da poter essere fatti propri e interpretati da chiunque. Dall’altro lato però c’è anche una necessità evasiva, che tramite suoni e testi immaginifici cerca di evadere la realtà di tutti i giorni».
Ne “La fine della festa” viene fuori tutto il vostro stile. Pensate di aver trovato la vostra identità sonora oppure vi considerate in continua evoluzione?
«A noi non piace guardare alle due cose come alternative l’una all’altra, crediamo che si possa benissimo avere un’identità sonora precisa pur spaziando tra diversi generi e atmosfere. Sicuramente la nostra evoluzione e ricerca sonora non si è conclusa con questo EP, sarebbe terribilmente noioso se così fosse. Continueremo a sperimentare nuovi suoni e mescolanze di generi, sperando comunque di rimanere fedeli a una nostra identità musicale che ci renda riconoscibili. É una sfida non da poco lo sappiamo ma d’altra parte ci piace complicarci la vita».
Qual è il vostro pensiero sull’attuale scena musicale italiana? Vi sentite rappresentati da ciò che si sente oggi in giro?
«Parlando di musica in senso stretto sono davvero poche le realtà che sentiamo veramente affini a noi come stile e sound, probabilmente su tutti i Baustelle sono quelli che ci hanno influenzato di più. Certo è che ci sono al momento tanti artisti in Italia che ci piacciono e con cui condividiamo un certo tipo di approccio alla musica. Progetti come quelli di Iosonouncane, Nu Genea o Cosmo in questo senso ci affascinano molto».
Coltivate altre passioni oltre la musica?
«In realtà no, e forse è una fortuna dato che passiamo veramente tante ore in studio insieme e ci sarebbe il rischio di finire per non sopportarsi più. Quindi passioni separate assolutamente! Io in Mountain Bike e Stefano sul divano con le serie tv. A pensarci bene una c’è, ovvero è la nostra sconfinata passione per Sorrentino».
A cosa si deve la scelta del nome della vostro gruppo?
«Cécile è un nome che nasce un pò a caso un pò da solo. Venuto fuori in un periodo in cui ascoltavamo Cecil Taylor, riflette in parte il suo approccio libero alla musica. Poi ciò che conta più di tutto è il fatto che ci suonava estremamente bene: sarà che il suono della lingua francese ci ha sempre affascinato molto».
Infine, cosa vi piacerebbe riuscire a trasmettere a chi ascolterà “La fine della festa”?
«Chi ascolta “La fine della festa” ci piacerebbe che riuscisse ad essere trasportato in un’atmosfera sospesa tra realtà e sogno, tra presente e ricordo, come se si trovasse davvero alla fine di una festa, appena prima dell’alba, su una terrazza fino a qualche ora prima gremita di persone. Ma in fondo ognuno percepisce e reinterpreta le canzoni a modo suo, provando emozioni e sensazioni diverse ed è questo il bello. L’importante in ogni caso è bere sempre del buon vino».