Centherbe: “Natura docet”, la natura insegna l’importanza delle proprie origini e delle piccole cose che troppe volte l’essere umano non considera degne di attenzione
Marco Giannoni, in arte Centherbe, è un cantautore toscano, simbolo ed esponente di quella musica che continua ad esplorare il mondo senza piegarsi alle classiche regole della discografia scegliendo la verità alla superficialità. Racconta storie di vita attraverso dei testi ricchi e densi di immagini vivide in cui l’ascoltatore riesce ad immedesimarsi. Dal suo nuovo disco traspare tutto l’amore per la musica suonata, per un progetto che spazia dal pop rock energico al pop folk delicato e raffinato. 12 tracce in cui il cantante pone l’accento su temi come l’innocenza dei vent’anni e i cambiamenti sociali portati dall’avvento di Internet.
Marco benvenuto tra noi! Come hai coltivato la tua passione per la musica nella tua vita?
Parte tutto dalla forte passione per la scrittura, poi la musica è venuta di conseguenza. Ho avuto un grande stop dal 2012 al 2022 per motivi personali e impegni che non mi permettevano di fare le cose al meglio, ma comunque ho continuato a scrivere molto; nel 2022 siamo tornati con un EP di 6 canzoni, nel 2023 abbiamo pubblicato un altro EP con altri 6 brani e nel 2024 abbiamo rilasciato un album con 12 tracce all’interno. In un anno e mezzo abbiamo tirato fuori 24 canzoni, cercando di recuperare un po’ il “tempo perduto”.
Da dove viene il tuo nome d’arte?
Da piccolo andavo sempre al mare in Sardegna con i miei, prendevamo casa in affitto. Un giorno alcuni amici ci fecero assaggiare il Centherbe, c’erano 38 gradi, avevo 16 anni e ci bastò un goccio per andare un po’ su di giri. Non so perché in quel momento mi venne in mente che se un giorno avessi fatto il cantautore mi sarei voluto chiamare così.
C’è stato un artista che ti ha influenzato più di altri?
Più che influenze, io le chiamo fasi; la musica ti porta ad esplorare varie sonorità e vari stili di scrittura. Ho ascoltato Sergio Caputo, Lucio Battisti, De André, De Gregori, Dalla e via dicendo. La mia libreria è molto vasta, anche a livello internazionale.
Come descriveresti la tua penna?
Non amo giudicarmi. Cerco di lavorare sempre molto su ciò che scrivo, non mi accontento mai finché non smetto. È un po’ come un pittore che dipinge un quadro: non è che lui termina il lavoro quando finisce il quadro, lui smette di dipingere che è ben diverso.
Quanto ti senti legato alla tua terra?
Io sono mezzo sardo, mia madre viene da lì e sono molto legato a questa terra. Per quanto riguarda la Toscana, è bellissima come lo è tutta l’Italia. Io abito in campagna “per le colline”, non vivrò mai a Firenze, non mi passerà mai per l’anticamera del cervello. Ci vado da turista o da visitatore, non di più. Vivo in provincia, ti dà più possibilità di riflettere e ti fa condurre una vita più lenta e serena. Il mondo un artista se lo crea con la sua fantasia. Una volta che parte la penna ognuno crea quello che vuole.
A proposito di campagna e di collina, voglio concentrarmi sul tuo nuovo album “Natura docet”: cosa contiene all’interno?
C’è un grande rispetto per la natura intesa come madre terra, intesa come tutto ciò che ci circonda. Nell’ultima traccia che poi dà il nome all’intero progetto dico di stare molto attenti a questo inseguimento folle della novità più attuale da comprare. Mi sembra che si siano persi i punti cardinali, c’è una velocità sfrenata nel voler tutto e subito. Vedo molta aridità a livello umano e sociale.
Come mai in questo progetto ti sei concentrato molto sulla natura?
Credo molto in lei in quanto la natura è qualcosa di immarcabile per noi, è sopra gli dèi, è sopra tutto. La natura si comporta come vuole nel modo che decide, noi ci dobbiamo adeguare. Decide lei quello che siamo e ciò che faremo. Comanda tutto e ci dovrebbe insegnare nuove parole e nuovi modi. Mai mettersi contro natura.
Le 12 tracce che hai scritto potrebbero essere interpretate come un sentiero da percorrere, a me ha dato anche questa impressione. Ce n’è una tra le 12 a cui sei più legato?
Per uno come me che scrive in abbondanza, ho un legame particolare con tutte le canzoni. “La regina delle possibilità” la sento molto mia, “Helen” ha dei chiari riferimenti ad una donna con gli occhi simili alla magia del mare. Tra l’altro, nella copertina del disco c’è una torre aragonese che è il posto dove adoro andare anche adesso.
La copertina nasce da una tua idea ben precisa?
Innanzitutto, volevo ringraziare Fabio Zini, un chitarrista fantastico, che insieme a me è il produttore artistico del disco. Per la copertina lui voleva fare una sorta di collage, mi ha affidato a Roberta Cerone, che ha curato la grafica. Il prodotto finale sembra un po’ cartone animato e un po’ dipinto, con questa donna bellissima con gli occhi azzurri che fa riferimento sia ad Helen che a Calipso che emerge dal mare. Poi ci sono altri elementi come il sole, i fiori, il mare, tutti chiari riferimenti alla natura.
Quando ho ascoltato questo album ho percepito in te una voglia di anni ’90, un gusto per il vintage che sembra quasi stia tornando in voga. Cosa hanno significato per te quegli anni lì? Ti mancano?
Sì, moltissimo. Mi sembra che all’epoca ci fosse più coscienza tra le persone. C’era più etica morale a livello sociale, si viveva più serenamente, c’era una qualità di vita migliore e spensierata. Musicalmente parlando, c’era una bella scena indie fino ai primi anni 2000. Quegli anni lì sono stati in preda ad una delle rivoluzioni più grandi degli ultimi decenni: Internet. Oggi è tutto più accelerato e se torniamo al concetto sulla natura espresso precedentemente, quest’ultima ci insegna che a forza di accelerare non viviamo più.
Che rapporto hai costruito con il tuo pubblico?
Ho riiniziato ad avere un pubblico da pochissimi mesi, mi piace perché è molto eterogeneo. Una volta una signora mi mandò un messaggio su Messenger chiedendomi se il figlio, che faceva il portiere, avesse potuto usare una mia canzone per la sua tesina di quinta elementare. Ci parlai e rimanemmo entrambi super contenti e io molto soddisfatto. Ho un pubblico che va dai 20 ai 50 anni, una fascia d’età che comprende almeno due generazioni. Mi fa piacere che gente giovane che ascolta più rap si ferma ad ascoltare qualche mio brano e ne apprezza il testo.
Quando sei sul palco che emozioni provi?
Quando so che devo suonare sono felice dal primo momento che mi sveglio. Cerco sempre di divertimi, ogni concerto è una festa e va vissuta come tale. Mi piace tutto del concerto, il prima, il sound-check, andare a mangiare con i colleghi, si lavora tanto per poter vivere insieme queste giornate. Ti lascia una grande energia e ti dà carica per il futuro.
Programmi per l’avvenire?
Stiamo lavorando a dei featuring, nel mentre continuo sempre a scrivere e a buttare giù idee. Inoltre, a dicembre uscita un piccolo libro che contiene tutte le mie canzoni editate fino ad oggi, con testi e traduzioni. Si intitolerà “Centherbe e la setta del Dio sole” e all’interno, oltre ai testi, avrà appunto un racconto semi serio. Verrà presentato il primo dicembre, in un paese vicino a Lamporecchio.
Come mai hai deciso di racchiudere i tuoi testi in un libro?
Perché volevo dargli la giusta importanza e credo che dopo questo disco fosse importante fare un po’ il punto della situazione. D’altra parte, io non smetto mai di fare, non mi fermo mai, anche perché da settembre in poi si comincia a lavorare al disco nuovo.
Il tuo sogno più grande?
Poter continuare a dare tanto tempo al mio progetto.