Musica a Teatro Corrado Calda: “la musica, come tutti le arti, è un oceano, se la vuoi conoscere devi essere in continuo ascolto del suo esprimersi e accettarne le profondità”
In concorso al David di Donatello nel 2008, ha vinto con la pièces teatrale “Wolfi, lo scemo del villaggio” il “Premio speciale della Giuria nel 2009, due sue sceneggiature sono state premiate per l’Interesse Culturale dal Dipartimento Cinema e il suo cortometraggio “Chanel” del 2010 ha vinto il Filmare Film Festival di Ostia, ha avuto una menzione speciale al quarto Video Festival di Udine e una menzione speciale al Cortoginosa sezione diritti umani del premio Amnesty International.
Laureato al D.A.M.S in drammaturgia si è diplomato in recitazione presso la “Bottega Teatrale di Vittorio Gassman” e ha perfezionato i suoi studi all’Atelier della Costa Ovest conseguendo altri due diplomi: “Artisti dello spettacolo”, “Artisti di scena”.
Ha lavorato in Teatro con registi come Claudio Longhi, Amedeo Amodio, Alfonso Santagata, Luca Ronconi, Enrique Vargas, Lorenzo Loris, Franco Brambilla, Laura Pasetti, Alessandro Bergonzoni, Carmelo Rifici, Robert Carsen.
In TV ha lavorato in “Doppio Segreto”, “Turbo”, “Uno Bianca”, “Part – time”, “La Notte di Pasquino”. Nel Cinema nel film “I Volontari”, “Io faccio Rock”, “A.A..A… Achille”, “Sweet Sweet Marja”.
In Teatro ha realizzato decine di regie. Ultimamente con la propria compagnia ha messo in scena “Gran Tour – la corsa alla bella Italia” di Giusy Cafari Panico in cui recita Morgan nel ruolo di Lord Byron. E sta replicando uno spettacolo con musiche su John Lennon.
Ho avuto il piacere di incontrarlo anni fa durante un intenso laboratorio al Franco Parenti e di recitare con lui in una rielaborazione teatrale di “Rashomon” curata da Riccardo Piricò Vaghi.
Hai studiato musica, canto? Pensi che sia importante per un attore?
Il mio esordio nel mondo dello spettacolo è stato a quattordici anni in una band giovanile, gli “Ska”, in cui suonavo la chitarra acustica ed elettrica, poi sono passato nei “Kronos”. Ci esibivamo a livello locale ed è stato un periodo molto divertente della mia adolescenza, la mia prima esperienza su un palco, che mi ha insegnato a coordinarmi con gli altri, e ad avere il senso del ritmo.
Qualche volta cantavo e partecipavo ai cori. Inconsciamente ho imparato così ad usare il diaframma, fondamentale per un attore. Ho poi tenuto in questi anni delle masterclass al Conservatorio Nicolini di Piacenza, e la mia conoscenza della musica si è approfondita.
La musica, come tutti le arti, è un oceano, se la vuoi conoscere devi essere in continuo ascolto del suo esprimersi e accettarne le profondità. Per tornare alla mia formazione ho studiato alla Bottega di Gassman, che ho frequentato alla fine degli anni Ottanta, e ho avuto insegnanti di musica e arti tersicoree.
Mi sono poi specializzato con diverse Masterclass europee dove ho avuto tra gli altri insegnati i Sosta Palmizi, i famosi ballerini che mi hanno trasmesso l’amore per il ritmo del corpo e il fantastico Bruno De Franceschi che ci ha insegnato canto e uso della voce partendo dal silenzio.
I tuoi primi approcci al palco?
È stata mia madre che mi portava a vedere la prosa. Ero molto giovane, un ragazzino. Ho sempre pensato che avvicinarsi alle arti sia qualcosa legato alla educazione che ricevi in famiglia. Se a un ragazzino metti in mano un videogame o un pallone non puoi prendere che poi si interessi alle arti.
Così accanto al divertimento come membro di una piccola rock band, ho iniziato a frequentare una filodrammatica locale, la Turris, si chiamava, più che altro per curiosità. Poi ho fatto la comparsa al Teatro Municipale di Piacenza. Ricordo un “Sansone e Dalila” dove mi buttavano “nel fuoco”.
In realtà sotto la bocca del mostro fiammeggiante dove ci lanciavano c’era un comodissimo materasso. Il fascino del palcoscenico, tuttavia, mi ha sempre più catalizzato, fino ad arrivare ad essere ammesso alla Bottega, e arrivare ad essere allievo di Gassman, come dicevo. Contemporaneamente mi laureavo al DAMS di Bologna, dove venni a contatto con l’arte scenica in tutte le sue forme, anche musicali.
Che tipo di musica ascolti di solito?
I miei gusti musicali sono cambiati nel tempo, come accade a molti. Da giovanissimo ero appassionato di musica underground italiana e di musica ska, poi ho scoperto il grande cantautorato italiano.
Ho sempre avuto una predilezione per Edoardo Bennato, ad esempio. Con il tempo mi sono avvicinato ad altri generi di musica, al pop rock classico dei Beatles, ad esempio, per rimanere nel campo della musica leggera.
Sono sempre stato attratto, tuttavia, dalla musica operistica, dalle romanze verdiane in particolare. Tra l’altro sono nato a Piacenza, città verdiana con una grande tradizione lirica. Mi hanno detto che ho una voce baritonale, peccato averlo scoperto troppo tardi.
Parlami dello spettacolo a cui ha partecipato Morgan
È un tipo di show composito, un docu-teatro di prosa e musica, che ripercorre il periodo d’oro dell’Italia come meta di uno straordinario turismo internazionale e culturale: il Grand Tour, diffuso tra il milleseicento e gli inizi del Novecento, quando le migliori menti europee affrontavano viaggi estenuanti e lunghissimi per visitare le nostre bellezze artistiche e culturali.
Sono arrivati qui Stendhal, Goethe e tanti scrittori e poeti, ma anche musicisti come Mozart, citandone uno per tutti. Morgan ha interpretato Lord Byron, uno dei più celebri visitatori dell’Italia di quegli anni, recitando e cantando canzoni del suo repertorio in linea con la personalità del grande poeta britannico, eccentrico ma capace di intuizioni geniali.
Un ruolo inedito per lui che gli ha procurato molti applausi, alcuni a scena aperta. Lo accompagnava al violoncello la sorella Roberta Castoldi che interpretava un’intensa Mary Shelley, grande amica di Byron e autrice di Frankenstein.
Presenti anche inserti musicali della “Bell’Italia” dell’epoca con cantanti lirici e maestri di pianoforte che hanno eseguito brani di Donizetti. Stiamo pensando di portarlo in tournée.
Ora di quello su Lennon
Avevamo in mente da tempo di realizzare uno spettacolo per i quarant’anni dall’assassinio di John Lennon, che per me è un grande riferimento dal punto di vista musicale, umano, e come maestro geniale di comunicazione. L’abbiamo rinviato di un anno a causa dei problemi dovuti alla pandemia.
L’intento era di dare una lettura nuova alla sua scomparsa proprio all’inizio degli anni Ottanta, quasi la sua morte chiudesse un’epoca storica molto precisa, quella degli anni Sessanta e Settanta, anni di grande fermento e protesta sociale.
La simbologia di questa frattura nella storia che è stata l’omicidio di Lennon, si ritrova nel testo che introduce un elemento dostoevskiano, quello del personaggio del Grande Inquisitore, che di fatto, in un dialogo metafisico realizzato con “ Guitar man” e “Glasses” (gli occhiali di Lennon) mette in scena una cesura del Tempo.
Guitar man, interpretato dal cantante americano David Stockdale, ha cantato e suonato alcune significative canzoni di Lennon, sia come solista che come membro dei Beatles. Notevole l’esecuzione di Help, in una versione drammatica e rallentata. Uno spettacolo che ho amato molto e che intendo replicare presto.
Altri spettacoli in cui hai utilizzato la musica che ami ricordare?
Ha lavorato molto con la musica ma odio fare gli elenchi. Mi piace ricordare il mio debutto con l’allora ATER Balletto (siamo agli inizi degli anni Novanta) in cui faceva il lettore nell’”Historie du Soldat”. Accanto ai ballerini guidati da Amedeo Amodio c’era l’Orchestra Arturo Toscanini e dovevo recitare spesso a ritmo di musica, una tournée straordinaria che mi ha lasciato una grande esperienza dentro.
Sono stato Njegus a fianco di Alessandro Safina e Giuseppe Picone nella “Vedova Allegra” di Lehar e infine ho fatto diverse regie liriche. Ogni spettacolo fatto con la musica, per la musica è un bellissimo ricordo.
Ma naturalmente è sempre l’ultimo figlio che si ama di più, soprattutto se è ancora in gestione.
Progetti presenti e futuri?
È una domanda che pone una profonda riflessione. La mia generazione è passata da un mondo diviso in due da un muro, con il blocco sovietico da una parte e quello filoamericano dall’altra, fino al crollo del medesimo muro e l’inizio della globalizzazione in cui l’assenza di frontiere fra gli Stati ha edulcorato ogni immagine di un nemico.
Poi è arrivato l’ISIS e gli attentati, infine la pandemia ha cambiato volto al mondo. Parlo di società, perché voglio sottolineare che già prima della pandemia era in atto un processo di dissoluzione morale, culturale e di disordine economico che influenzava ogni settore della vita: il teatro ne era profondamente coinvolto.
Questo processo con la pandemia non ha fatto altro che acutizzarsi: le star hanno in qualche modo continuato a lavorare, tutti gli altri hanno tirato a campare.
Si è creata, come nella società, una frattura anche economica profonda tra le classi sociali e nel futuro si vedono sorgere sempre di più egemonie teatrali che daranno sempre meno spazio a chi non è in un modo o nell’altro allineato.
In questo disordine e in questo cristallizzarsi degli aspetti peggiori del nostro mestiere saranno le piccole produzioni che, alla lunga, avranno proposto delle novità e avranno portato una ventata di nuovo a cui verrà riconosciuta storicamente la valenza, ma sarà molto più avanti.
Il futuro vuole per il mondo del Teatro regole precise, una legislazione dedicata, un modo nuovo di confrontarsi con i testi e con il mestiere. La mia Associazione Culturale Muselunghe APS ha uno slogan #rinascimentoculturale, probabilmente usato anche da altri, che significa una riscoperta dei nostri valori e l’inizio di una nuova epoca, un nuovo risveglio, una rinascita.
Con la scrittrice Giusy Cafari Panico stiamo realizzando un documentario (il quarto) su “I tre tenori che dal Po varcarono l’Oceano”. Lascio al lettore l’indagine di chi fossero dandogli una traccia; tutti e tre erano piacentini e tutti e tre hanno cantato al Colón di Buenos Aires e al Metropolitan di New York.
Questo documentario e altri spettacoli che faremo sono uno sguardo al passato, sguardo che serve per ritrovare una guida e il senso delle nostre radici di uomini prima di tutto immersi in una società. Vogliamo onorare questo mestiere nel significato più profondo del suo termine: rispetto e riconoscenza.
Come possiamo seguire le tue attività?
Attraverso i social della mia associazione Muselunghe APS (Facebook e Instagram) e sul mio sito https://corradocalda.wordpress.com/
Grazie per l’intervista.
Grazie a te!