Daniele Babbini inaugura una nuova fase della sua carriera proponendo nelle radio “Storie di tutti i giorni“, la cover del grande successo di Riccardo Fogli con cui vinse il Festival di Sanremo nel 1982.
Mentre Riccardo Fogli è in tour con i Pooh in questi mesi per celebrare i 50 anni della loro carriera, Daniele Babbini omaggia il successo con cui il cantante livornese vinse Sanremo nel 1982.
Tanti i motivi alla base della scelta di riproporre una nuova versione di questo classico della musica italiana: dall’incredibile attualità di un testo che descrive gli incroci delle storie della gente che ancora oggi cerca di opporsi alla monotonia della quotidianità, alla curiosità di far emergere nuove potenziali sonorità di una canzone pop ma dall’anima rock. E poi ci sono i ricordi di un bambino che sentiva fischiettare tra le mura di casa quella melodia dal papà…
Il cantautore toscano racconta a Musica361 di questa nuova fase all’interno del suo percorso artistico.
Il tuo primo singolo è Oggi però (EMI, 2003). Qual è stato il percorso che ti ha portato a questa prima pubblicazione?
Ho avuto come tanti le mie prime esperienze suonando nelle cosiddette garage band. Il mio primo gruppo si chiamava Dedd, una formazione dark rock ispirata alla new wave inglese e a band come Sisters of Mercy, Depeche Mode, Cure o JoyDivision: si trattava di un gruppo legato dall’amicizia di compagni di classe di liceo ma che a fine anni ’90 aveva già un suo seguito in Toscana, Emilia e Liguria. Pubblicammo anche un EP dal titolo Fotogrammi, di cui io ero autore di musiche e testi. Nasco quindi come chitarrista: e fin da quando ho iniziato a suonare a 16 anni mi resi conto quanto avere in mano uno strumento per creare qualcosa di nuovo e soprattutto di mio fosse proprio un’esigenza. Imbracciavo la chitarra e mi mettevo a suonare accordi e melodie magari non proprio belle, come spesso accade per le prime prove di scrittura, che però sapevano in qualche modo già darmi una certa soddisfazione. All’epoca neanche mi interessava che fossero canzoni belle o brutte, tanto ancora nemmeno immaginavo che quello sarebbe diventato il mio mestiere.
E che futuro immaginavi a 16 anni, come ti vedevi?
Non ricordo come mi vedessi: non sapevo ancora cosa avrei fatto nella vita o probabilmente non ci pensavo. Durante l’adolescenza sempre più sentivo, per diversi motivi, la necessità di dare sfogo alle mie emozioni e avevo capito che l’unica cosa che mi faceva veramente star bene era la musica. Sentivo di avere qualcosa da dire e stavo cercando il modo di farlo. Da tempo scrivevo appunti, pensieri, poesie e canzoni: dopo che i Dedd si sciolsero mi rimasero nel cassetto un po’ di canzoni che decisi con coraggio di proporre ad alcuni produttori come autore. La Emi, l’etichetta dei miei miti, dai Pink Floyd a Vasco Rossi, fu la prima alla quale mandai una mia demo. E la prima che mi rifiutò. Però non ho mollato: alla PMI, etichetta indipendente di Firenze, piacquero i miei pezzi. Anzi, quando mi fecero registrare i provini dei primi due brani con la mia voce guida, mi proposero pure di pubblicarle cantate da me. Il primo singolo fu Aspettando la notte e da lì cominciò tutto: sono passato alla Warner Chappell italiana come autore e quasi immediatamente, ironia della sorte, alla Emi come artista con la quale ho pubblicato Oggi però, che arrivò due volte nella classifica nazionale di vendita dei singoli (F.I.M.I.), venne trasmesso in Francia dal network Trafic Fm e pure distribuito in Germania. È accaduto così: quando sei molto giovane, scrivi per caso un singolo che piace e ha successo in radio, nel giro di pochi mesi firmi con la Warner e con la Emi, perdi di vista ogni altra opportunità e alla fine pensi “forse devo fare proprio questo”. Con tutte le difficoltà del caso perché il mio percorso qualche voltami ha portato anche a fermarmi e a ricominciare.
Ci sono stati dei momenti in cui hai, per così dire, vacillato?
Ho avuto due “pause”. La prima risale a poco dopo la pubblicazione di Oggi però, dal 2005 al 2007: volevo realizzare un disco in un determinato modo e mi sono scontrato con chi invece voleva spingermi a fare altro, così avevo deciso di cambiare produzione. Non mi definisco un alternativo però ho sempre fatto ciò che sentivo giusto: e in quel momento sentivo giusta la decisione di aspettare che avesse termine un contratto in essere per poi ricominciare con qualcun altro. E poi, casi della vita, ho realizzato il primo album ancora in EMI ma con persone e facce nuove. Il secondo momento risale al 2013 invece quando sono stato impegnato nella stesura e nella promozione del mio primo romanzo.
Accanto alla musica, la letteratura rappresenta sicuramente un altro elemento del tuo processo creativo. A cominciare dalla raccolta di poesie “L’ombra dell’anima” (La Versiliana Editrice, 2007), impreziosito dalla prefazione di Rina Centa Strambi e vincitore di premi letterari. In questa prima “opera prima”, seguita poi da altre raccolte, si leggono componimenti sotto forma di appunti, schizzi e stati d’animo del quotidiano impressi su carta.
“L’ombra dell’anima” è nata in quel primo periodo di pausa mentre aspettavo che scadesse il contratto: un giorno mettendo ordine a un sacco di mie carte e appunti, mi venne l’idea di scrivere e regalare per Natale un libricino in 30 copie agli amici. Conoscevo personalmente l’allora centenaria attrice Rina Centa e le chiesi se poteva leggere e dare una parere alla qualità dei miei scritti. A mia insaputa mi organizzò un incontro con la sua Casa Editrice, La Versiliana, che poi mi propose di pubblicare il libro. E da quella occasione in poi ci presi gusto e a cadenza di due o tre anni continuai a pubblicare qualcosa, per un totale di quattro raccolte ad oggi.
C’è una raccolta in particolare della quale sei più orgoglioso?
Quella di cui sono più orgoglioso è La poesia delle piccole cose (2012) con la prefazione di Zucchero. In particolare sono legato a questa raccolta perché è legata ad una operazione di beneficienza a cui tengo molto: ho ceduto tutti i diritti all’Ospedale Pediatrico Apuano che percepirà per sempre il prezzo intero di copertina di ogni copia, grazie anche all’editore che ha rinunciato a tutte le royalties.
Un apprezzamento che dimostra ancora una volta la tua attenzione al sociale, come per il caso della canzone Libero Barabba utilizzata, col tuo beneplacito, come titolo della campagna internazionale contro la pena di morte.
Sono stato orgoglioso di aver prestato il titolo di questa canzone per una causa come quella: sono profondamente contrario alla pena di morte. In quel caso però non ho fatto altro che appoggiare quella causa. Al contrario cedere l’incasso de La poesia delle piccole cose ha rappresentato una partecipazione più attiva: io stesso ho vissuto brutti momenti in ospedale a causa di un intervento al cuore e mi ha toccato molto vedere bambini di pochi giorni costretti a subire operazioni delicate. Ho anche personalmente conosciuto i genitori dei bambini ricoverati e gli infermieri dell’ospedale: più di tutto però mi ha commosso il bellissimo regalo che mi hanno fatto i bambini riempiendo tutta la corsia del reparto degenze con disegni e testi delle mie poesie… È quando vedi cose del genere facendo del bene in questo modo che puoi dire veramente a te stesso: “adesso ho fatto veramente qualcosa di importante”. Le radio che passano i tuoi pezzi possono appagare il tuo ego per qualche settimana, i dischi d’oro fanno la polvere e qualche migliaia di copie vendute non cambiano la vita a me ma donare tutto quello che poteva venire da un libro a un ospedale può fare la differenza per altri.
Rispetto a questa doppia anima musicale e letteraria: ti senti più un poeta prestato alla musica o un musicista prestato alla poesia?
Mi sento prima di tutto un comunicatore: quando sento di avere qualcosa da dire lo faccio scegliendo il linguaggio più appropriato, sia per ciò che voglio comunicare, sia per il pubblico al quale voglio rivolgermi. Sostanzialmente però sento un’anima da musicista: spesso scrivo più che altro appunti che non definirei proprio poesie ma che potrebbero essere sviluppati e diventare canzoni…Insomma sono ecosostenibile: tutto ciò che scrivo viene in qualche modo riciclato! (Ride)
Che tipo di cantautore ti definiresti? Qual è la tua anima e i tuoi riferimenti musicali?
Vengo da influenze rock e new wave per cui il mio approccio alla musica è quello. Accanto a quest’anima rock per me sono prioritarie le parole: mi sono fatto le ossa ascoltando i dischi di cantautori italiani che in qualche modo hanno scritto dei capitoli unici, da Battisti e De André passando per Ivan Graziani e Rino Gaetano fino a Tenco, secondo me il primo vero artista che ha dato una svolta alla musica italiana.
Ho uno stile riconoscibile nella stesura dei testi da disco a disco ma musicalmente ho sempre cercato di variare: mi piace che all’interno di uno stesso album ci siano colori diversi e che ogni canzone possa essere diversa dall’altra. Ho usato molto l’elettronica e l’acustica, scritto canzoni più rock o più pop a seconda del periodo, della tematica e della canzone.
Oltre a Gatto Panceri, col quale sei stato in tour e hai scritto Guida Tu e Ipnotica, con chi ti piacerebbe collaborare tra gli artisti del panorama musicale italiano?
Mi piacerebbe collaborare o duettare con un artista genuino come Gianluca Grignani. Artisticamente lo stimo moltissimo perché ha sempre fatto quello che ha voluto, cominciando con un album da 2.000.000 copie come Destinazione Paradiso (1995) e passando successivamente a La Fabbrica di plastica (1996), andando contro ogni logica di mercato: puoi permetterti di fare scelte del genere solo se sei uno vero. E poi qualcuno sostiene che fisicamente ci somigliamo: magari se ci vedono su un palco insieme o sulle copertina di un cd ci distinguono! (Ride). Per il resto finora non posso lamentarmi quanto a collaborazioni: Steve Lyon, produttore tra gli altri di Cure, Depeche Mode e Paul McCartney, ha mixato il mio secondo e terzo album, il mio chitarrista è lo scozzese Steve Blades ,storico membro degli Excalibur e Pippo Pollina, che ho conosciuto alla consegna del premio Lunezia, ha duettato nel mio album La linea gialla (2013). E poi naturalmente per il mio ultimo singolo, Storie di tutti i giorni, c’era un progetto di featuring con Riccardo Fogli: poi la reunion con i Pooh lo ha portato in tour e non è stato più possibile.
Per l’estate 2016 hai pubblicato appunto Storie di tutti i giorni di Riccardo Fogli.Perché proprio questa canzone?
L’estate scorsa ho diviso il palco a Livorno nella rassegna “Spazio d’Autore” con Riccardo, che proprio quella sera aveva cantato Storie di tutti i giorni voce e chitarra. Chiacchierando in camerino considerammo quanto il testo dopo 35 anni fosse ancora straordinariamente attuale e gli confessai pure del legame personale che avevo con quel branoche mi ricordava la mia infanzia. E soprattutto di quanto fosse secondo me una canzone rock già nella sua versione originale, cosa che, probabilmente perché proposta inizialmente al pubblico pop di Sanremo, non emergeva: gli dissi che sarebbe stato bello registrarla con una nuova sonorità. Per tutti questi motivi alla fine mi incoraggiò affettuosamente a rifarla: io avevo già in programma di registrare nuove canzoni per l’Italia quindi ho pensato “perché no”. Questa cover rappresenta per me un punto e a capo: uno spartiacque che ha segnato una mia nuova fase, senza rinnegare nulla.
Rappresenta una nuova fase anche nel senso che è la tua prima cover mai registrata, giusto?
Non ho mai registrato cover, nemmeno ai tempi delle prime garage band. È stato un po’ strano mettermi alla prova come interprete di un brano non scritto da me e a questo punto della mia carriera. Ero un po’ intimorito perché è una canzone famosissima e poi perché i fan di Fogli sono abituati bene: ricantandola nella versione originale mi sono reso conto che Riccardo ha una canna di voce non indifferente! (Ride) É stata una sfida misurarmi con un brano non facile nella sua tonalità originale. Però è anche giusto che la canzone non venisse snaturata, sia come struttura che come tonalità: è stata una soddisfazione essere riuscito a cantarla come l’originale!
Trovandoti invece a cantare i versi di una canzone che descrive la gente dei primi anni ’80, che effetto ti ha fatto pensare alle “storie di tutti i giorni” di oggi?
Avrebbero potuto scrivere questo testo un mese fa e credo che non lo avrebbero cambiato di una virgola. Storie di tutti i giorni parla della gente comune, di quelle persone che non hanno grossi guai ma neppure grossi trionfi, del rischio di perdersi nell’anonimato, del confondersi in vite sempre uguali e abitudinarie, del confondersi nella massa con il rischio di diventare un numero da statistica: ancora oggi viviamo in una società in cui questo rischio è quanto mai attuale. I social network non rappresentano altro che il bisogno di uscire per pochi secondi dall’anonimato ma allo stesso tempo sono una grande maschera per mostrare solo il bello di noi. Quel senso di alienazione che racconta la canzone e che si sentiva 35 anni fa oggi forse è ancora più attuale. Con le dovute differenze epocali: oggi probabilmente accanto ai riferimenti agli incontri tra amici, agli amori fatti di panchine, telefonate, del tempo che corre lungo le lancette degli orologi ci sarebbe anche una strofa che parla delle chat, degli sms e di internet.
Hai dichiarato di essere legato al brano anche perché lo sentivi fischiettare da tuo padre: cosa ti rievoca, personalmente, questa canzone?
Ho perso mio padre quando ancora ero molto giovane: ho scelto di registrare questa canzone anche perché era una delle sue preferite. Tutti immaginano di ereditare dal padre dischi dei Beatles o dei Pink Floyd, da lui ho avuto in eredità invece solo due 45 giri: Storie di tutti i giorni di Riccardo Fogli e Stranamore di Vecchioni, altro pezzo che adoro. Lo ricordo fischiettare questi brani quando si faceva la barba o rientrava dal lavoro. E poi ricordo il 45 giri, quello stesso 45 giri posato sul vecchio giradischi di mio padre che si ritrova anche nella prima immagine del mio videoclip.
A parte il singolo ora stai registrando altro materiale per il tuo prossimo disco?
Sto registrando nuove canzoni che quando raggiungeranno il numero e la forma giusta sicuramente finiranno in un album. In questi giorni sto mixando la versione francese del mio primo singolo in spagnolo, Quererse Y Luego, che dopo l’estate uscirà anche in Francia. Sono in fase di mixaggio anche del nuovo singolo per la Spagna, il mio terzo singolo in lingua spagnola per il mercato iberico e sudamericano.
Prossime date dal vivo invece?
In Italia invece è prevista una data in Liguria il 28 agosto e qualche ospitata. In questi mesi sono stato in tour promozionale in Spagna e il 2 settembre terrò un altro concerto a Barcellona approfittandone per fermarmi qualche giorno e fare un po’ di promozione al nuovo singolo che uscirà a metà settembre.
Che effetto ti fa cantare per un pubblico straniero, sia in italiano o in un’altra lingua?
L’esperienza in Spagna è molto stimolante e spero possa estendersi sempre più anche ad altri paesi. Una canzone che nasce da te e viene poi tradotta fedelmente in un’altra lingua che così arriva a persone di culture diverse, ti regala una doppia soddisfazione facendoti capire che strumento potentissimo sia la musica. È sempre straordinario sentire quanto la musica arrivi a gente di ogni lingua che si lascia rapire dalle note vivendo ogni canzone. In quei momenti è un privilegio essere sul palco a vivere queste emozioni. Sono queste in fondo le stesse motivazioni che mi hanno spinto a fare musica a 16 anni e che ancora oggi, all’alba dei 40, mi accompagnano: mi rinnovano di volta in volta la voglia di fare questo meraviglioso lavoro.
Prossimi progetti, più in generale?
Oltre al disco nuovo sto lavorando anche al nuovo libro, che come tematica avrà la musica: dovrebbe uscire l’anno prossimo. Musica o poesia, finché avrò qualcosa da dire la dirò. In questo periodo sento un’energia e una creatività che, grazie alle esperienze che la vita mi ha a volte regalato e a volte imposto, è sicuramente più matura di quando avevo 16 anni ma per il resto è sempre tutto in divenire: sono sempre il primo ad essere curioso di scoprire cosa farò da grande.