Edda è lo pseudonimo di Stefano Rampoldi, nato artisticamente alla fine degli anni ’80 come cantante dei Ritmo Tribale, storica band del rock italiano.
Dopo 5 album con il gruppo Edda sparisce fino al 2009, quando pubblica il suo primo disco solista, “Semper biot”. Oggi, a distanza di due anni dal precedente “Graziosa utopia”, esce “Fru fru”.
Cominciamo dal titolo, curioso.
Tu lo sapevi che in certe regioni d’Italia i fru fru sono i wafer? L’unico tipo di biscotto che mangio, perché non contiene uova. Io non mangio uova. Volevo un titolo che sapesse di leggerezza, tutti cerchiamo di avere nella vita colonne sonore che ci tengano su. Perché la vita non è una passeggiata.
Il disco è autobiografico.
Sì. I miei testi seguono il mio stato d’animo. Prima nasce la melodia, generalmente, poi da qualche parte mi arrivano le parole. Nei miei testi apparentemente ci sono cose che non vogliono dire niente, ma c’è continuità emotiva. I miei testi sono tipo… un trip.
Come sono i suoni di “Fru fru”?
Luca Bossi è il produttore artistico del disco. Gli ho detto che volevo gerani e basilico, no funghi, no aglio né uova o pesce, però volevo colore, che ci mettesse delle tende. Come posso spiegare a un produttore che musica voglio? Non mi ritrovo più nel rock dei Ritmo Tribale. Per il disco avevo come riferimento l’album degli Strokes “Comedown Machine”, poi ho virato sul pop e ho dato un’occhiata alla Carrà.
Alla Carrà?
Sì, pensavo a “Cuore batticuore” (Edda canticchia “Rumore”, nda). Ho detto a Luca “Dammi suoni per un disco giocattolo”, ma poi i giocattoli sono sofisticati. Lui è stato molto bravo.
[L’intervista con Edda è durata quasi un’ora; abbiamo parlato di spiritualità, ecologia, animali, karma. Il caso ha voluto che indossassi qualcosa di arancione, e la prima cosa che Edda mi ha detto è stata: “Bello, l’arancione è il colore della positività, dà pace. È un colore super”, allungandomi il suo cd. La copertina? Naturalmente è arancione, come gli abiti degli Hare Krishna, con cui in passato ha vissuto].