“Bitten By The Devil” è il titolo del nuovo e interessante lavoro di Emma Morton.
Cantante e autrice scozzese, Emma Morton è pura classe. Il suo nuovo disco “Bitten By The Devil” è carico di significati e suona davvero bene. Lei si muove in tour in tutta Europa, con una musa d’eccezione al seguito, che verrà rivelata nel corso dell’intervista.
“Bitten By the Devil” è il titolo del tuo album. Chi è stato morso dal diavolo?
La protagonista di questo disco è una donna. Il morso del diavolo rappresenta tutto: i rapporti che lei ha avuto, i rapporti con la sua salute mentale, con la società. Ognuno viene contaminato dal disagio, ci si trova in trappola in determinate situazioni. Questa donna arriva al culmine del male e decide di sovvertire tutto per creare della bellezza. A livello personale scrivere questo disco è stato terapeutico, ho esternato tutto ciò di cui mi è difficile parlare. Attraverso la musica ci sono riuscita.
È un disco autobiografico quindi?
Sono tutte storie personali. Non riesco a dividere la vita privata da quella artistica. Sono autentica, parlo delle esperienze che ho vissuto di persona. Da quando ero piccola la musica mi ha aiutato a gestire le emozioni, è stata la mia coperta di conforto.
Un disco che suona molto bene, dove si sentono tanti strumenti nelle diverse tracce. Come e dove è stato prodotto?
Abbiamo registrato in uno studio analogico a Lari (Pisa) in Toscana con Mirco Mencacci e Andrea Cecchini. Il disco è registrato in presa diretta, quello che si sente è ciò che abbiamo suonato spontaneamente utilizzando voce, chitarra, batteria e contrabbasso. Dopodiché abbiamo fatto le sovraincisioni di ulteriori cori, trombe, pianoforte e altri strumenti.
La qualità del lavoro si sente dalla prima traccia, complimenti. Raphael Gualazzi è un ospite del tuo disco. Come è nato questo duetto?
Ho partecipato nel suo album “Love, Life, Peace”. Mentre lavoravamo abbiamo creato un legame musicale e umano. Era molto felice di partecipare alla realizzazione di “Dirty John” quando gliel’ho chiesto. Questa canzone è una denuncia sulla violenza contro i bambini. È qualcosa che conosco in prima persona. È la storia di una bambina che si ribella alla violenza senza ulteriore violenza, ma dimostrando con forza di potersi liberare, senza dire: “Te la faccio pagare”, ma con: “Non puoi più farmi del male”.
Come raccontato da te, il disco ha contenuti importanti, senza alcuna forma retorica. E anche “Dirty John” ne è una conferma. Cambiando argomento, chi ti visiterà su Spotify, vedrà che, tra le tue tracce, “Daddy Blues”, un tuo vecchio lavoro, possiede un’esplosione di visualizzazioni. Come mai?
La mia partecipazione a XFactor è stata accolta molto bene dall’Italia. Quando è uscito l’EP ho avuto un grande riscontro. Da quel progetto sono passati 3 anni e ora è uscito un lavoro che sento davvero mio. Sono contenta di aver fatto una grande ricerca musicale. Non seguo tendenze, porto “il cuore sulla manica” come si dice in inglese, non riesco a fare ciò che non sento vero. Il mio nuovo disco è diverso da ciò che facevo ad XFactor. Quando ero entrata nel programma avevo espresso chiaramente il mio interesse per la musica proveniente dalle radici afroamericane (jazz, blues, soul), ma mi dissero che non c’era interesse a presentare questi mondi musicali perché non andavano di moda. Ho affrontato comunque l’esperienza come uno stimolo per trovare un modo diverso di comunicare.
Qual è il pubblico ideale di Emma Morton?
Non saprei. A livello geografico, la musica è universale, mette a contatto le persone del mondo. Un pubblico ideale è aperto ad ascoltare, ad avere uno scambio di esperienze, di emozioni. Da quando ho iniziato questo progetto abbiamo girato l’Italia, la Gran Bretagna, la Francia in diversi jazz club, jazz festival, rock festival. Insomma, la musica è un meltinpot di diverse sfumature. Ci sono concerti in cui abbiamo giovani ragazzi e coppie di settanta anni.
Quali sono le differenze nella vita di tutti i giorni una volta lasciati i panni della cantante?
Sono molto concentrata sul lavoro. Sono esigente e severa. In Italia una cosa bellissima è che amicizia e rapporti lavorativi si intrecciano. Sono fortunata ad avere lo strumento dentro di me, quindi quando faccio i lavori di casa e canto alleno la mia voce. Allo stesso modo quando canto una ninna nanna.
A volte è molto difficile perché lavoro tanto, come in questo periodo in cui siamo in tour, quindi c’è poca stabilità. Ciò che rende tutto più facile è che cerchiamo di vivere la vita come un’avventura e abbiamo cercato di trasferire questo valore anche alla mia bambina (4 anni e mezzo) . L’abbiamo abituata a stare in mezzo alle persone, viene in tour con noi e adesso ci aiuta al tavolo del merchandise (sorride). Si sente molto parte del progetto, quando scendiamo dal palco ci dice sempre che siamo stati bravi. È la nostra musa, la nostra forza.