Enrico Melozzi: “I Maneskin? Il venerdì sera avevo capito avrebbero vinto il Festival di Sanremo”
Enrico Melozzi è il Direttore d’Orchestra che il grande pubblico conosce per essere stato fautore dei più grandi successi sanremesi degli ultimi dieci anni: Sono solo parole, Rolls Royce, Ringo Starr, Me ne frego e persino la vincitrice di quest’anno, Zitti e buoni, sono tutte canzoni dirette da lui.
Compirà 44 anni proprio domani, ma il suo è già un curriculum che lo consacra come uno dei migliori Direttori della nostra scena musicale. Tante le opere da lui composte, a cominciare dalle primissime esperienze: Oliver Twist per l’Auditorium Parco della Musica e la sinfonia Il Nuovo Tempio per la riapertura del Duomo della sua città, Teramo. Fondatore del gruppo 100 Cellos, insieme a Giovanni Sollima, ha creato anche l’Orchestra Notturna Clandestina, con due organici distinti a Milano e Roma. Ha lavorato con i più grandi Maestri e ora, giovanissimo, è già diventato lui stesso uno dei più grandi Maestri: la gavetta, quando si crede in ciò che si fa, non è mai tempo sprecato.
Oggi Enrico Melozzi è l’ospite della nuova intervista di Musica Maestro.
Enrico, quando hai mosso i primi passi nella musica, da bambino, già sognavi di diventare il Maestro Melozzi?
Non me lo sarei mai aspettato. Nella mia città di provincia la musica era considerata una passione, ma non un potenziale vero lavoro. I miei genitori, però, mi hanno lasciato sempre fare quello che volevo e, dopo tante passioni sportive che avevo già cambiato in pochi anni, non mi hanno mai frenato. Non immaginavo di diventare Direttore, ma musicista sì: lo volevo fortemente.
Come è stato il tuo percorso?
Già a 10 anni scrivevo autonomamente musica su un computer Amiga 500 per gioco: non conoscendone il linguaggio, copiavo dai libri di Bach. Il computer quindi suonava in base a ciò che indicavo, e così iniziai a capire cosa significassero certi segni a cui corrispondevano le note. Frequentai gruppi rock punk di cui ero il cantante leader. A 15 anni studiavo violoncello al Conservatorio a Teramo e studiavo composizione a Pescara: volevano scrivessi musica sperimentale di avanguardia, che a me non piaceva. Credo che quello stile sia desueto, finito cinquant’anni fa. Ho sempre amato scrivere in maniera neoclassica. Mi trasferii successivamente in Germania.
E lì diventasti assistente di Michael Riessler, un altro musicista d’avanguardia!
Esatto, un’avanguardia francotedesca inserita però nelle sue basi musicali jazzistiche che amavo. Fu per me una grande esperienza perché lavorai così nel “laboratorio teatrale” vero, quello pratico e non non più solo “accademico”. Fu lì che iniziai a scrivere più seriamente, muovendomi sempre più tra diversi generi che toccavano il sinfonico come il rock punk o il suono televisivo.
Chi è il Maestro di Enrico Melozzi?
Ho avuto a che fare con tanti grandi, da Morricone a Bacalov. Però ho imparato il mestiere con una sola persona.
Il vero Maestro a cui devo tutto è Federico Savina, ossia il fonico di numeri uno come Nino Rota, nonché unico che potesse assistere alle registrazioni one shot di Mina.
Savina mi tramandò tutti i trucchi dei suoni dell’orchestra: fu lui a spiegarmi, facendomi fare varie prove, che il suono cambia a seconda di come è scritto. E la scrittura stessa deve cambiare a seconda del contesto, che sia per la radio, per la tv, per il cinema…
La musica sinfonica viene spesso percepita come qualcosa di noioso. Un Direttore come Enrico Melozzi, fautore dei più grandi successi sanremesi degli ultimi dieci anni, forse può aiutare i giovani ad apprezzare quel genere. Come si può fare?
Vedere un direttore sempre serio, in un contesto severo che impedisce di applaudire tra una pausa e l’altra della sinfonia, non aiuta la musica classica a diventare interessante. Se il Direttore è empatico, però, può proporre di tutto. Il Direttore è il mezzo di cui deve potersi fidare il pubblico, che non è solo spettatore, ma anche giudice. Bisogna dire che non esistono gli “intenditori” di musica: è il pubblico stesso che decide il successo di qualcosa. E vengono sempre premiate le operazioni di qualità.
L’orchestra a Sanremo deve offrire un prodotto già commerciale o qualcosa di diverso che poi non sentiremo nel disco?
E’ qualcosa di irripetibile. Io punto tutto sul coinvolgimento del pubblico in sala e a casa e dell’orchestra. La serata del giovedì, oltretutto, a votare è l’orchestra: scrivo perché questa abbia sempre una parte di rilievo. Se c’è un coinvolgimento emotivo, questo passa attraverso fili e microfoni e ne esce un suono migliore.
Mi piace che l’Orchestra sappia già in partenza che, se c’è Enrico Melozzi, viene osservato un serissimo lavoro di contrappunto.
Se la partitura è complessa, si crea un’energia per cui chi la suona si sente rispettato avendo tra le mani un materiale importante.
La sera della finale di Sanremo 2021 eravamo tutti pronti con gli articoli a celebrare la vittoria di Ermal Meta, ma qualcosa ci diceva di usare prudenza. Tu ti aspettavi la vittoria dei Maneskin?
La prima sera con la demoscopica eravamo diciassettesimi; con il voto dell’orchestra recuperammo sette posizioni nella classifica generale. La stampa ci fece recuperare altre cinque posizioni. Insomma il venerdì sera ho pensato: “Abbiamo vinto, anche se dovessimo fare un po’ peggio di ieri, con questa escalation siamo primi!”.
Come ha reagito l’orchestra? Qualcuno ha storto il naso pensando: “Ma che mi tocca suonare ora?”
No, assolutamente! Anzi! Lo spartito di Zitti e buoni richiede di suonare seriamente: sembra un pezzo di Stravinsky per come è composto. Gli orchestrali erano tutti entusiasti, e infatti lo hanno votato e si sono persino alzati in piedi ad applaudire al momento della proclamazione. Un momento barock per eccellenza che non avrei mai immaginato di vedere in Rai: il barocco si suonava stando in piedi, a Sanremo si suonava in piedi il rock!
Chiudiamo con un’operazione che ti ha visto protagonista lo scorso anno: il completamento, in chiave moderna, de Le Nozze in Villa di Donizetti con Elio e Rocco Tanica.
Un lavoro pazzesco ed estremamente stimolante con cui abbiamo recuperato un quintetto perduto di un’opera minore di Donizetti. Abbiamo così dovuto creare un’orchestrazione seguendo lo stile giovanile di Donizetti. La sfida era ricostruire un pezzo conservando la sua struttura, senza che nessuno scoprisse quale fosse la parte nuova che avevamo aggiunto. Ecco, quella per me è un’esperienza che giustifica l’essenza della musica.