La musica, per chi la ama ma anche per chi non sa di amarla, è vita. Il nostro universo è fatto di vibrazioni ed è la vibrazione che rende vivo il cosmo
“Luminol Records” è un’etichetta discografica indipendente, nata dalla passione genuina per la musica di qualità al di fuori dei canoni tipici del commercio. Si basa sul concetto di “progressivo” concepito come sperimentazione della musica sia sul piano artistico che sociale, quindi non strettamente correlato ad uno specifico genere musicale, ma al concetto di emancipazione e passaggio di un’area artistica ad un’altra e dallo status di tendenza musicale verso altre prospettive culturali. Gli artisti gestiti e promossi da Luminol Records spaziano dal prog-rock al post-rock, dall’avantgarde al progressive metal e dal post-pop all’IDM; sono tutti accomunati dalla passione per la sperimentazione e per la miscelazione di diversi generi musicali e forme d’arte come mezzo di comunicazione e interpretazione della realtà.
Questo è quanto scritto sul sito dell’etichetta. Ovviamente queste affermazioni ci hanno incuriosito e abbiamo deciso di parlarne con Giacomo Cacciatori, founder e direttore artistico dell’etichetta.
Quando e perché nasce la tua etichetta?
Nasce circa quattro anni fa. Avevo già un’esperienza pregressa nel campo discografico perché mi ero occupato di musica pop dance che, ti devo confidare, non è mai stato il mio genere musicale preferito.
Ho deciso, quindi, di fondare una mia etichetta per dar voce non solo alla musica ma anche agli ideali che ci sono dietro e, spesso, dentro. La visione della label è più internazionale che non nazionale.
L’Italia è un paese in cui non si sono consolidate esperienze forti come in Inghilterra o in nord Europa, realtà con una stretta connessione tra gli artisti, lo loro musica e i loro ideali. La decisione di aprire “Luminol” è stata quella di iniziare questo percorso.
Luminol? La prima cosa che può venire in mente è la famosa “scena del crimine” delle serie americane. Perché questo nome?
La musica, per chi la ama ma anche per chi non sa di amarla, è vita. Il nostro universo è fatto di vibrazioni ed è la vibrazione che rende vivo il cosmo e quindi noi stessi. Il “luminol” evidenzia tracce ematiche o organiche, le tracce vive.
Allo stesso modo la “Luminol Records” si propone di andare a cercare cosa c’è di vivo nella musica, in un mondo di sonorità sempre più legate alle possibilità dei computer “Luminol” cerca la musica suonata, quella in cui l’energia vitale è trasmessa da vibrazioni che sono quelle dell’individuo.
In realtà “Luminol” è anche la ricerca dei nuovi talenti, quelli nascosti sotto lo strato più commerciale del nostro panorama musicale odierno. Ma non solo, perché “Luminol” è anche il titolo di un brano di Steve Wilson, artista che amo particolarmente. Come vedi sono più di uno, i motivi della scelta.
Più che genere, come definiresti lo stile della “Luminol”?
Se dovessi definirlo userei il termine “malinconico”, non nel senso della sua accezione più tipica che riporta alla tristezza. Ogni progetto è musica, video e, da quest’anno, anche teatro.
Penso che malinconia sia la definizione più giusta, quella che permea di più il mood dell’etichetta, la tranquilla riflessione delle cose. Siamo una label che si occupa di Progressive Rock, Post-Progressive, Post-Rock e Electronic.
Quali servizi offrite ai vostri artisti?
Ci occupiamo della distribuzione, sia digitale sia quella relativi ai supporti, il vinile nello specifico, per la quale ci stiamo attrezzando. Ma anche di ufficio stampa e promozione in tutte le sue sfaccettature.
Abbiamo aperto lo scorso anno una società di edizioni musicali, la Ky Publishing, parte del progetto “Luminol” che ci permette di promuovere la musica anche nell’ambito televisivo, delle colonne sonore e dei videogames.
Lavoriamo, principalmente, su progetti già strutturati ma realizziamo anche progetti in toto. Capita che voler produrre internamente voglia dire forzare un imprinting della label che snatura la creatività degli artisti e, spesso, normalizza verso standard più commerciali.
Preferiamo che gli artisti abbiano il massimo della libertà e delle scelte, l’importante alla fine è la qualità. Ci sono anche casi in cui decidiamo di produrre direttamente, come per gli “Ujig”, una band progressive/fusion/jazz che uscirà quest’anno, o i “Don’t Call Me Plus” usciti poco più di un mese fa.
Come avete organizzato la distribuzione?
Ci affidiamo a distributori diversi sulla base delle aree geografiche, in Asia per esempio ci sono distributori che hanno una penetrazione specifica nel mercato.
Per il vinile stiamo definendo partnership e collaborazioni perché il nostro target è il mondo, non l’Italia. Da quest’anno sarà inoltre attivato una canale di e-commerce collegato al nostro sito.
Quali sono gli elementi di punta del vostro roster?
Come ti dicevo prima gli “Ujig”, i “Don’t Call Me Plus”, poi gli “Eileen Sol”, un gruppo i cui componenti sono sparsi tra l’Emilia e la Toscana che stanno uscendo con un lavoro che riarrangia Maurice Ravel. Ma anche i “Miotic”, gli “Aseptic White Age”, la faccia più cattiva della label, sperimentali sul fronte metal/rock e i “TiV Project”, una band iraniana che suona progressive rock classico. Molti dei nostri artisti non sono italiani anche perché ci rivolgiamo a un pubblico internazionale.
Un artista che vuole proporre la sua musica cosa deve fare?
C’è un indirizzo mail specifico che è demo@luminolrecords.com oppure sul nostro sito c’è un apposito form da cui è possibile fare l’upload e compilare la scheda informativa. Ovviamente se qualche artista ci vuole raggiungere può farlo anche attraverso le pagine social di “Luminol Records”.
Se la premessa ci aveva incuriosito, il racconto di Giacomo ci ha permesso di scoprire che è ancora possibile realizzare musica non necessariamente commerciale perché continua ad esserci qualcuno che la “traccia vitale” della musica continua a cercarla.
Articolo a cura di Roberto Greco