Dopo l’aneddoto sul brano inedito Non lasciare Roma la scorsa settimana non abbiamo resistito: Musica361 ha intervistato per voi uno degli interpreti e autori fondamentali della storia della musica italiana
La scorsa settimana Fasano ci ha raccontato la genesi di un fantastico brano inedito ma la nostra curiosità, chiacchierando, non si è fermata: ecco cos’altro abbiamo scoperto parlando con uno dei più importanti autori della tradizione nazional popolare italiana.
Come hai esordito nel mondo della musica?
Alla fine degli anni ’70, in occasione dei 25 anni del muretto di Alassio, avevo scritto e inciso Splash, brano che strizzava l’occhio a certe canzoni anni ’60 in stile Eduardo Vianello: a Mario Tilesi piacque molto e decise di produrlo. Quella canzone mi portò molta fortuna: finì sulla scrivania di Salvatore De Pasquale che, credendo fosse firmata dall’amico Peppino di Capri, il quale aveva un’etichetta che per coincidenza si chiamava “Splash”, decise di ascoltarla. Fu così che nel marzo del ’79 mi incontrai con De Pasquale a Milano e gli feci sentire altre canzoni che già erano caratterizzate da questa mia doppia vena romantica e ritmica.
Debutto ufficiale a Sanremo 1981 con Un’ isola alle Hawaii: come ricordi questa prima esibizione?
Nell’estate del 1980 avevo pubblicato con la Durium il mio primo 45 giri Mi piaci tu: dato il buon successo decisero di propormi a Sanremo. Per il festival avevo scritto Esami di maturità che però non convinse abbastanza. Decisero allora di presentarmi con Un’ isola alle Hawaii in origine scelta per Celentano che però all’epoca non poteva incidere perché stava girando un film. E così mi ritrovai per la prima volta al Festival di Sanremo: mi piazzai quinto insieme a Edoardo De Crescenzo, Luca Barbarossa, Fiorella Mannoia e Orietta Berti ma non ebbi accesso alla finale. In ogni caso fu una delle prime emozionanti occasioni per mettere in mostra la mia capacità compositiva.
E quel giorno non mi perderai più (1989) rappresentò uno spartiacque nella tua carriera: pensata per un grosso nome i discografici ti fecero notare che la cantavi meglio tu. Fu quello il momento che ti spinse a dedicarti totalmente alla musica come cantautore completo?
Da quando ho scritto il primo testo non ho mai smesso di sperare di interpretare le mie canzoni, anche se all’inizio non me le facevano cantare. Poi nel 1989 la casa discografica decise di mettere insieme due artisti per vincere a Sanremo formando la coppia Fausto Leali e Anna Oxa, scegliendo per loro E quel giorno non mi perderai più, scritta da me e Berlincioni. Capii che l’idea del duetto poteva funzionare però, per questioni tecniche, mi ero reso conto che quella non era la canzone giusta per loro. Così proposi in alternativa, Ti lascerò, che poi vinse. Si era comunque deciso di presentare E quel giorno non mi perderai più a Sanremo e mi proposero di cantarla: quella fu la prima volta che una canzone che avevo scritto per me trovò il suo interprete migliore! Arrivai terzo nella sezione “Nuovi” ma il tempo mi ha dato giustizia: oggi mi piace sottolineare che grazie a Radio Italia quella canzone entrò in classifica per merito del compianto Franco Nisi, che la spinse parecchio.
Come ricordi Franco Nisi?
(Commosso) È stato uno di quelli che ha fatto capire l’orgoglio e l’importanza della musica italiana trasmettendo 24 ore su 24 il meglio della nostra produzione, in un Paese dove eravamo ancora molto esterofili. La nostra musica arriva da Domenico Modugno, Luigi Tenco, Fabrizio De Andrè e Lucio Battisti: quella musica continua a rappresentare un’epoca che non smette mai di essere di moda. E se talvolta la musica italiana ha fatto qualche passo indietro rispetto alla famosa musica anglofona è dipeso dal fatto di aver scelto di imparentarsi nella scrittura ad un gusto che non gli è proprio, fingendosi italiana.
Quale resta ad oggi il tuo disco più rappresentativo?
Sicuramente FFF (2012). Il titolo spiega bene anche il perché: il significato delle prime due FF è Franco Fasano. Non solo però: nella musica stampata, le due FF indicano il momento in cui un direttore d’orchestra fa suonare tutti gli strumenti insieme, il movimento si chiama “fortissimo” e il suono acquista una forza incredibile. Dunque FFF si può leggere “più che fortissimo”, cioè “fortissimissimo”. E suona benissimo (sorride) perché in quel disco, cui hanno collaborato 320 artisti, tra grafici, autori e musicisti, c’è tutto il mio passato, presente e futuro. Ho rivisitato tutte le mie canzoni che sono tornate ad avere la forma originale, prima dell’adattamento: ad esempio in Mi manchi c’è una strofa tagliata, Ti lascerò si intitola Le ultime tre cose, così come nella famosa lettera di Berlincioni da cui è tratta. In quel disco ho collaborato con tutti gli arrangiatori e i produttori della mia carriera: la regola che ho dato a ciascuno di loro è che ognuno potesse attingere al mio repertorio ma con il divieto di riarrangiare il pezzo che avevamo originariamente realizzato insieme. La produzione di Fortissimissimo è sicuramente quella che ho più nel cuore: a parte due o tre inediti, la considero la mia antologia sonora.
Negli anni hai firmato per numerosi interpreti da Fausto Leali, a Drupi a Mina. C’è una canzone o una collaborazione che hai più nel cuore?
Tante ma stranamente poche tra quelle che poi sono diventate successi, forse perché durante la realizzazione non le avevo vissute così intensamente. Un’artista invece con la quale ho collaborato, che non cito quasi mai ma che ricordo con piacere, è Lu Colombo con la quale ho anche vinto Un disco per l’estate con Rimini Ouagadougou (1985), suo secondo successo dopo Maracaibo. Quella canzone fu molto importante perché mi permise di conoscere Sergio Conforti cioè Rocco Tanica di Elio e le Storie Tese col quale è nata un’amicizia che lo ha portato ad arrangiare per me Mezzo cielo che non sai e Per niente al mondo.
Colpevole invece è la canzone presentata a Sanremo 2005 da Nicola Arigliano che si aggiudica il Premio Mia Martini. Questo riconoscimento ti ha portato poi la carica di direttore artistico del Premio Mia Martini.
Voglio prima ricordare che ho avuto il piacere di conoscere Mimì personalmente. Le scrissi anche la canzone La luna ma non fece mai in tempo a registrarla. Dopo la sua morte non volevo più darla a nessun altro. Poi, quando ho registrato Fortissimissimo, mi hanno convinto a inciderla, però rimodificando un po’ il testo: prima era Mimì che si immedesimava nella luna mentre nella mia versione io, guardando la luna, mi ricordo di lei. Quando partecipai alla prima edizione del premio Mia Martini a Bagnara Calabra portai proprio La luna che quasi non riuscii a cantare dall’emozione. Fu in quell’occasione che l’allora direttore Nino Romeo esortò gli artisti a firmare una petizione perché il premio della critica fosse intitolato Premio Mia Martini, dato che nella sua carriera l’aveva vinto ben tre volte. Poi, casi della vita, nel 2005 dopo che Arigliano si aggiudicò il riconoscimento con Colpevole, Romeo mi propose la direzione artistica del Premio Mia Martini.
Il mio sogno oggi è che questo riconoscimento possa diventare una specie di Premio Tenco del sud. E ci sono parzialmente riuscito: quest’anno tra i premiati c’erano Amedeo Minghi, Roberto Vecchioni e Gaetano Curreri. E anche Chiara Dello Iacovo che ha regalato una bella interpretazione che ha un po’ commosso tutti.
Oggi secondo te la figura di Mia Martini è stata un po’ riscattata rispetto agli ultimi tempi?
Mia Martini ha cominciato a non avere fine da quando è mancata: le sue canzoni continuano a essere un esempio di scrittura e interpretazione. E non sono il solo a pensarla così: il giorno che ho avuto il piacere di conoscere Mina tramite Gianni Bigazzi la sentii con le mie orecchie affermare che Mia Martini è stata una delle più grandi interpreti e voci italiane.
Capitolo musica per bambini: come hai ricordato nella tua carriera sei stato anche autore di canzoni per lo Zecchino d’oro e di sigle di cartoni animati. Che tappa ha rappresentato per te?
Da quando è nato mio figlio nel 1994 ho cominciato a scrivere canzoni per bambini e francamente addentrarmi in quel mondo mi ha un po’ guarito dalla dipendenza da una discografia che cominciava ad ammalarsi, sempre più assoggettata alle logiche di promozione e schiava di certi meccanismi. È stato salutare per certi versi.
Qual è l’approccio della scrittura di una canzone interpretata da un bambino rispetto ad un adulto?
Tradotto in un’immagine significa che non si può prendere un vestito che va ad un adulto e metterlo ad un bambino: ha le maniche lunghe, i pantaloni larghi e la forma può essere non moderna. Se la stoffa è una sola, la vera capacità deve essere quella di creare un vestito su misura. Io in particolare ho sempre cercato di considerare anche che il bambino, crescendo, potesse rendersi conto della stoffa che ha cantato: nelle mie canzoni c’è sempre un aspetto sia didattico che umano. Un esempio di quello che dico è Goccia dopo goccia scritta con Emilio Di Stefano: abbiamo chiamato in una registrazione il coro di montagna di Sant’Ilario che si è unito a quello dei bambini. Così i più piccoli insieme ai “bambini cresciuti” hanno intonato “Non è importante se non siamo grandi come le montagne, quello che conta è stare insieme per aiutare chi non ce la fa”. E la stoffa di cui ti parlavo è ritornata ad essere una.
Sono rimasti sogni nel cassetto?
In Fortissimissimo ci sono almeno tre canzoni che potrebbero essere la colonna sonora di un film o di uno sceneggiato: mi piacerebbe che qualcuno mi desse l’opportunità di scriverne una.
Il prossimo anno festeggerai 40 anni di carriera: stai pensando a qualche progetto?
Aspetto proposte da chi mi vuole bene! (Sorride) Intanto continuo ad esibirmi raccontando in musica quello che io ti ho raccontato, con uno spettacolo che faccia sempre rivivere quello che ho vissuto a chi vuole conoscere la mia carriera. Sto continuando a scrivere, anche se da un punto di vista discografico sono assente dalle scene da Fortissimissimo: però quel disco racconta talmente la mia storia che mi sembra di essere in promozione ancora adesso! In questo periodo mi sto occupando della direzione artistica di una trasmissione che andrà in onda su Raiuno in una delle notti della settimana di Natale: “Nel nome di Giovanni Paolo II”. È stata registrata dal carcere di Torino, ha una tematica sociale importante. Quando ci sono temi che mi coinvolgono e mi toccano cerco sempre di dare il mio contributo. Oggi come oggi, per quanto riguarda l’aspetto creativo, ogni idea che mi accende una scintilla prende fuoco.