Intervista al cantautore romano Galeffi, fuori con il suo secondo lavoro in studio intitolato “Settebello”
Scegliere di uscire comunque e fare compagnia alle persone attraverso la propria musica, tra le tante uscite rimandate in questo periodo c’è chi preferisce pubblicare comunque il proprio progetto, rivendicando con orgoglio il ruolo che da sempre ricopre questa nobile forma d’arte, le conseguenti suggestioni e le molteplici riflessioni che ci suggerisce.
“Settebello“ è il titolo del secondo lavoro discografico di Marco Cantagalli, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Galeffi, cantautore che abbiamo imparato a conoscere e apprezzare sin dall’esordio avvenuto nell’ottobre del 2017 con “Occhiaie“, seguito poco dopo dal disco di debutto “Scudetto”.
L’artista torna sulle scene con un progetto completo, costruito e curato nei minimi dettagli, parola per parola, nota dopo nota. Rilasciato lo scorso 20 marzo per Maciste Dischi/Polydor/Universal Music, l’album ha l’ambizione di accompagnarci in un momento storico così delicato, inedito e disarmante.
La musica ai tempi del Coronavirus, che ruolo ha?
Sicuramente un ruolo di distrazione di massa, che non fa mai male in questo genere di situazioni inedite e delicate, per certi versi senza precedenti. La musica può sicuramente attutire il colpo. Per quanto mi riguarda, in genere passo molto tempo in casa, questa situazione mi ha cambiato ben poco la vita.
Avendo un’attitudine così casalinga, puoi consigliare ai nostri lettori alcune attività da svolgere?
Ascoltare “Settebello” giocando a carte, sarebbe perfetto. Poi, fammi pensare, potrei consigliare qualche film che ho visto in questi giorni, tipo “Il profeta” o “Il cuoco, il ladro, sua moglie e l’amante”, che mi sono piaciuti parecchio. Infine, si può giocare alla Playstation, scaricarsi qualche serie, farsi qualche doccia in più (sorride, ndr).
Quale impatto emotivo pensi che avrà sulle nostre vite?
Non lo so, boh. Dipende, perché non reagiamo tutti allo stesso modo, soprattutto in Italia, un Paese con tante differenze che, devo dire, si ritrova riunito da un positivo e incoraggiante patriottismo, come non lo si sentiva forse dai mondiali di calcio del 2006.
In un paio di pezzi del tuo disco dici “Mi sono chiuso a casa che spasso, fuori diluvia, meglio stare al caldo”, oppure addirittura “Mi disinfetto quando te ne vai”. Insomma, ci sono una serie di riferimenti criptici, qualche complottista potrebbe studiarci una teoria…
Beh, in effetti sì, mi auguro possano realizzare dei meme così almeno le mie canzoni girano (ride, ndr).
Come pensi ne potrà uscire il settore discografico da tutto quello che sta accadendo?
Tutto quello che sta succedendo è sicuramente un dramma per vari settori. Ne risentiranno le persone che lavorano in ogni campo, perché è quasi tutto fermo. Per chi fa musica l’attività live è fondamentale, diciamo che rappresenta un buon 70% del guadagno, ma è anche vero che siamo tutti grandi e grossi per capire che non si può fare niente, la salute prima di tutto.