Per l’uscita del suo album “The Best of” abbiamo intervistato Gerardo Balestrieri
Oggi 21 aprile esce in digitale la raccolta “THE BEST OF” (L’Orto/Egea) del poliedrico cantautore Gerardo Balestrieri che con questo disco sintetizza il suo percorso discografico tra musica, teatro e viaggi. Una carriera che inizia nel 2007 con l’album d’esordio “I Nasi Buffi E La Scrittura Musicale” arrivato secondo nella categoria “Opera Prima” del Premio Tenco dello stesso anno.
Tra un disco e l’altro Gerardo Balestrieri promuove i suoi album in tour in Italia e all’estero, lavora per il teatro e per il cinema e ad importanti collaborazioni nazionali ed internazionali. Gerardo è un appassionato di swing, di echi tzigani, dell’oriente, dei greci, del jazz e della Francia, del ritmo contagioso, del twist e del Sud America,, proprio come ha confidato a noi di Musica 361. Attraverso testi sfumati e maturi, l’inconfondibile voce dinoccolata e scura, Balestrieri ama giocare con le parole senza perder di vista il ritmo e la danza proponendo “canzoni per anche ed orecchie, per ricci, per pance e per tacchi” come afferma lui stesso.
Ciao Gerardo, questo è un album che raccoglie tante influenze e tanti ritmi, ma forse lo swing prevale?
Beh sì, nel caso della raccolta ha prevalso lo swing, ho avuto tanti dubbi perché avendo il piacere di esplorare tanti stili musicali il problema era quello di dover lasciare fuori qualche canzone: soprattutto la parte balcanica e mediorientale non è venuta fuori in questa raccolta. Sostanzialmente è una raccolta più swing ed è anche un po’ voluto…
C’è qualche canzone che vorresti inserire in extremis?
Ad esempio La casa dorata di Samarcanda, tratta dall’album Canzoni del mare salato, disco dedicato a Corto Maltese. Un brano che è un viaggio intorno alla Via della seta in cui ho cercato di mettere strumenti, melodie e i ritmi dispari di quell’area geografica. Ma le scelte sono sempre difficili e alla fine è rimasta fuori
Sei uno sperimentatore anche in altri campi, infatti ti sei laureato con una tesi su “Il sincretismo e la spiritualità nella musica popolare brasiliana”…
Sì, ho fatto il percorso universitario all’Istituto di Lingue Orientali di Napoli negli anni ’90, alla facoltà di lettere, l’idea è stata di accostare a ogni forma di espressione musicale brasiliana una forma spirituale partendo dalle radici indie, europee e africane: e quindi dal canto gregoriano e i riti feticisti sono arrivato alla Bossa nova e mi è venuto da accostare come forma spirituale l’estetica del vuoto presente nello zen, partendo dalla frase secondo cui l’utilità del bicchiere sta in quello che non c’è, anche nella struttura ritmica della Bossa nova la parte sostanziale è proprio la pausa. così ho cercato di fare questo accostamento.
Tanti i riferimenti culturali, tra questi sicuramente Paolo Conte, ma quali sono i tuoi autori di riferimento?
Non sono pochi, negli anni giovanili ho avuto Conte e De Andrè per quanto riguarda gli italiani. Boris Vian, Tom Waits e altri per quanto riguarda gli artisti internazionali. Sentivo di andare verso questo tipo di scrittura, ma dal punto di vista dell’ascolto io ascolto da Bob Marley a Fran Zappa ai Kraftwerk.
Apolide, polistrumentista, canti in varie lingue, ma tu hai un centro?
Un centro di gravità permanente… (ride), apolide lo scrisse una giornalista in una recensione, ha azzeccato la condizione perché è un non stato di fatto: sono nato in Germania da genitori dell’alta Irpinia, ho vissuto sei anni in Germania e poi sono arrivato in Italia vivendo un po’ con i nonni e un po’ con gli zii. Poi dall’Irpinia sono arrivato a Napoli: e una questione di vicissitudini che poi si riversano anche nella musica. Però devo dire che un centro l’ho trovato perché da più di 10 anni vivo a Venezia.
E il cantautorato come sta andando oggi?
La musica è cambiata tantissimo in questi anni, e credo che anche l’industria discografica abbia deciso le sorti dei cantautori. Io di giovani non è che ne conosca tantissimi, so che il percorso è tanto difficile, è difficile anche capire chi rientra nella categoria dei cantautori. Forse un perimetro esiste ed è quello di chi scrive e canta le proprie canzoni utilizzando anche un certo linguaggio, musicale e testuale. La Trap non so se faccia parte del cantautorato…
Ci sono altri canali, ma prediligono altri generi musicali…
È cambiata tanto la fruizione della musica, un tempo il cantautore era legato a un disco fatto di diverse canzoni, oggi si ragiona molto più sul singolo, forse c’erano anche tematiche più complesse. Mi viene in mente il concept album…
Le cose sono cambiate, siamo abituati a cantautori molto critici verso la società e verso i programmi di massa, il cantautore un tempo non andava a Sanremo, ora abbiamo visto al Festival artisti e gruppi che, ad esempio negli anni ’70, mai sarebbero andati…
Dipende anche dalla necessità di avere visibilità, fino a qualche anno fa il cantautore non aveva neanche bisogno del Festival, un De Andrè che andava a Sanremo avrebbe perso pubblico…
Prima di lasciarci vuoi svelarci qualche progetto futuro?
Ora l’intento è quello di promuovere questo album e di organizzare in modo più strutturato i concerti live…
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