Mi ritengo immerso completamente nelle parole, quelle dei testi dei monologhi e quelle delle canzoni, le parole sono preponderanti e fondamentali, mai un accessorio
Napoletano, classe 1992, Giacomo Casaula non può essere definito semplicemente un cantautore. Nella sua vita il teatro e la musica, anzi le canzoni, hanno sempre viaggiato come due onde sinusoidali che s’intrecciano.
L’abbiamo raggiunto telefonicamente e, insieme a lui, abbiamo cercato di capire di più le scelte che l’hanno portato a usare questa modalità di espressione.
Qual è la prima musica che hai ascoltato, quella che veniva ascoltata a casa tua prima delle tue scelte personali?
I miei genitori ascoltavano la musica degli anni ’60, Gino Paoli, Luigi Tenco ma anche quella più leggera come Edoardo Vianello, Los Marcellos Ferial. Nella fase adolescenziale, invece, è arrivata per la vera bomba, quando ho scoperto e iniziato ad ascoltare Rino Gaetano.
Poi, nel tempo, sono arrivati Fabrizio De André e infine Giorgio Gaber, pezzi fondamentali della mia formazione musicale, e il cantautorato italiano di Venditti, De Gregori e Guccini.
Con Gaber scopri qualcosa di più del cantautore…
Quando lo spettro delle mie conoscenze si è allargato e mi ha portato a scoprire Gaber, ho conosciuto il suo teatro-canzone. Purtroppo, per banali problemi anagrafici, non ho mai potuto vederlo dal vivo ma mi sono rifatto nel tempo andando a cercare e scoprire i suoi concerti e la sua discografia.
Con Gaber ho scoperto la possibilità formale di poter “tenere assieme” il monologo teatrale e le canzoni eseguite dal vivo e questo ha tracciato la mia strada. In quel periodo avevo già iniziato a fare teatro e questa è stata un’illuminazione.
Inizia così la tua esperienza teatrale?
In effetti ero già iscritto a un’accademia teatrale ma con questa conoscenza che si è aggiunta è arrivato il cosiddetto “pezzo mancante” di un puzzle. Da lì ho iniziato con i recital teatrali per approdare poi al vero e proprio teatro-canzone.
Attraverso questo linguaggio riesco ad esprimermi al meglio, in maniera più libera e incondizionata. Amo il teatro a 360° ma questo linguaggio è quello che prediligo.
La parola diventa quindi elemento fondamentale della tua modalità di espressione…
Mi ritengo immerso completamente nelle parole, quelle dei testi dei monologhi e quelle delle canzoni. Anche nel mio ultimo lavoro, “Nichilismi & Fashion Week”, le parole sono preponderanti e fondamentali, mai un accessorio. Proprio in questo lavoro, il cui titolo è ispirato alle modalità di Gaber, ad un frammento di una canzone che diventa “titolo”.
Sei di origini napoletane. Che rapporto c’è tra te e la musica partenopea?
Amo la musica napoletana ma ritengo di non esserne un interprete ideale. Adoro Pino Daniele ma anche le novità musicali che, in questo ultimo periodo, la mia città ha sfornato. Da lì a diventarne divulgatore diretto… beh… forse non sono ancora pronto.
“Nichilismi & Fashion Week” è sia un album sia uno spettacolo. Il singolo appena uscito è un assaggio?
“Nichilismi & Fashion Week” è incentrato sui temi delle mode che attraversano quotidianamente individualità e collettività, in una frizzante alternanza tra monologhi di prosa e canzoni, le cui musiche sono state scritte da Davide Trezza.
Da questo spettacolo è stato estratto il primo singolo, intitolato “Indie e De Gregori”, e il relativo videoclip, scritto e diretto da Stefano Poletti.
Sono tre i singoli, “Ballata per Angelina “e “Yuppi 92” sono i titoli degli altri due, che permettono di scoprire l’album che contiene 13 brani.
Sono un po’ il simbolo del mio teatro-canzone. C’è da dire che lo spettacolo, è ancora uno spettacolo “sospeso” perché a causa della pandemia, dopo un’anteprima e una registrazione a teatro vuoto, ci prepariamo per affrontare il pubblico.
Da dove viene la tua necessità di raccontare, quella che ti ha portato a parlare in questo ultimo lavoro delle mode?
Prima di scrivere i testi sia dei monologhi sia delle canzoni c’è stato un lavoro approfondito con Davide Trezza, autore delle musiche, e ci siamo resi conto di come le mode di cui parliamo avessero condizionato l’individuo e il suo modo di rapportarsi con la società, dell’io solitario e dell’io che entra in relazione con un altro individuo e diventa coppia. Probabilmente c’era, in noi, un disagio e da lì è nata la voglia di trattare questo argomento.
Esistenzialisti francesi anni ’60…
Penso di essere più francofono che non anglofono. La Francia, sia dal punto di vista letterario sia dal punto di vista artistico più in generale, è stata per me fonte d’ispirazione. Poco meno di una decina di anni fa ho scoperto Serge Gainsbourg, che ritengo geniale, forse uno dei musicisti francesi migliori del secolo scorso.
Ma per tornare al mio ultimo lavoro, uno degli elementi portanti è l’autoironia e questo look con cui mi presento in scena mi permette di “non prendermi troppo sul serio” e, implicitamente, dichiararmi “vittima” delle mode e di cercare di non prendermi mai sul serio fino in fondo.
Oltre al live dello spettacolo, quali sono i tuoi prossimi progetti?
La tournée era prevista nella primavera del 2020 e adesso è diventata una priorità per evitare che questo lavoro diventi retorica pura e questo non era nei miei obiettivi. Con Davide Trezza abbiamo già iniziato la scrittura di diversi nuovi brani.
È presto per parlare di un nuovo disco ma ritengo che nel 2022 alcuni di questi possano vedere la luce e d essere proposti al pubblico. Sto lavorando a un nuovo romanzo, che è oramai pronto e che uscirà il prossimo anno.
Il mare, quanto è importante per te?
C’è un rapporto molto forte, molto viscerale con il mare. Penso che il mare faccia parte di me, sia dentro di me e mi influenzi costantemente arrivando anche a giocare con le parole, e faccio riferimento a “A-mare”, un mio romanzo composto da dodici racconti compiuti che ripercorrono cronologicamente gli ultimi sessant’anni di storia e di costume italiano e che hanno come cerniera il mare.
Lavori con ritmi elevatissimi: teatro, musica, formazione ma come riesci a conciliare la tua vita professionale con quella privata?
Non è sicuramente un equilibrio facile. Ho sempre avuto ritmi di lavoro alti ed è stato complicato conciliare questo con il mio privato. Crescendo, però, ho scoperto che ogni tanto è necessario “staccare”. Lo stesso lockdown, anche se forzato, mi ha permesso di meglio conciliare l’equilibro delle mie due semisfere.