Quello di Giulia Mazzoni è un album crossover, che vede l’incontro tra sonorità classiche e pop. Un disco che segna una sua maturità compositiva ed esecutiva, pronto per essere portato fino in Oriente.
Giulia Mazzoni è una compositrice toscana che ha già all’attivo un album (Giocando con i bottoni) e un tour completamente sold out in Cina. Riparte alla scoperta di sé stessa con Room 2401, concepito a Chicago e pronto per essere portato in un tour in Italia e nel mondo.
Raccontaci chi è Giulia Mazzoni e soprattutto dove è nata la tua passione per il pianoforte.
È difficile parlare di me, di chi sono io. Sono nata a Prato, in Toscana, vicino a Firenze. La mia passione per il pianoforte nasce in quinta elementare quando in un’aula della mia scuola scopro fisicamente il pianoforte. Ovviamente lo conoscevo già, avendolo ascoltato in televisione e nei dischi, però nessuno della mia famiglia lo suonava. Si può dire che sia stato amore a prima vista: ogni volta che potevo tornavo in quell’aula e giocavo con quello strumento. All’inizio i miei genitori non sapevano niente, poi ho rivelato questa passione e mi hanno permesso di studiare musica prima alla scuola di musica Verdi di Prato e poi al conservatorio Verdi di Milano.
Fai parte del movimento di musica “classica” contemporanea che sta prendendo piede in Italia e nel mondo negli ultimi anni. Ti ispiri a qualcuno di questo movimento?
Scusa se faccio questa precisazione ma io non faccio musica classica. La mia musica è una musica contemporanea che ha all’interno degli elementi della musica classica che hanno fatto parte della mia formazione, ma che contiene soprattutto echi del pop e di tutte le sonorità che mi influenzano. In realtà non c’è un solo musicista che mi ha ispirato in particolare, sicuramente il minimalismo è stato per me un movimento importante che mi ha influenzato, quindi direi Philip Glass, Michael Nyman, Thomas Newman, anche compositori legati al cinema come Danny Elfman.
Mi ha influenzato anche David Bowie: infatti ho riproposto una versione di Space Oddity nell’EP (presente su Deezer) che si chiama Il mondo visto da Giulia. Mi ispira tutta la musica in realtà, come mi ispira tutto quello che mi circonda e che mi regala uno spunto: la mia è una musica emozionale basata sul concetto dell’emozionarsi per poter emozionare.
Poco fa hai nominato Michael Nyman: come è stato collaborare con lui per il brano The Departure?
Come puoi immaginare è stata una grande emozione ed un grande onore. Lui è un punto di riferimento importante che ha influenzato sicuramente il mio modo di comporre.
Io e Michael ci conosciamo da molti anni e all’inizio di quest’anno ho avuto il coraggio di parargli di questo progetto e del mio desiderio di collaborare con lui. Lui, incuriosito, ha accettato senza neanche pensarci. Mi ha riempito di gioia, non so neanche trovare le parole per descrivere le emozioni. Il pezzo esisteva già, era il brano della colonna sonora di Gattaca, un film del 1993. Lui ha realizzato una parte inedita per due pianoforti eseguendola anche con me e questa è la prima volta che realizza una parte per un compositore/pianista. È stato davvero il più grande degli onori.
Diversi giornalisti ti paragonano ad Allevi. Tu senti di avere delle similitudini con lui oppure ti senti diversa?
No, non sento di avere nessuna similitudine. Lui rappresenta una generazione diversa dalla mia, fra noi due c’è una differenza di età di 20 anni e questo rappresenta un mondo differente, soprattutto a livello compositivo. Lui ha una sensibilità compositiva diversa dalla mia, oltre a rappresentare l’universo maschile. Abbiamo due modi di comporre diversi, io mi sento più vicina – a livello di interpretazione – a Ludovico Einaudi.
Parliamo del tuo nuovo album: si intitola Room 2401. Perché hai scelto questo nome?
Tutto nasce da una stanza realmente esistente a Chicago: la stanza 2401 è una stanza nella quale io mi sono trovata e nella quale ho concepito l’idea di questo album. È in quella stanza che ho scoperto il mondo e mi sono aperta all’esterno, trovando una nuova consapevolezza in me. Diciamo che la stanza 2401 è la declinazione materiale di un concetto spirituale; è una stanza fisica ma è dove mi sono ritrovata spiritualmente e più in generale la stanza è il luogo in cui ognuno di noi si può ritrovare. All’interno di questa stanza ci sono 15 brani, 12 composizioni inedite, una con pianoforte e violoncello, una con l’hang e poi ci sono tre bonus-track che mostrano il mio lato più pop.
Quando hai composto questo album hai trovato delle nuove stanze interiori? Ti sei sentita crescere?
Sono sicuramente cresciuta nell’arco di questi tre anni. Quando sono tornata dalla Cina ho preso consapevolezza che si stava concludendo una fase della mia vita. Questo processo però era già iniziato prima con le esperienze che avevo vissuto e anche con i viaggi che avevo fatto. Sono sicuramente cresciuta anche come artista e questo spero che si senta nel mio lavoro.
Lo scorso anno hai fatto sold out in tutte le tue tappe del tour in Cina. Che differenze riscontri fra il pubblico cinese e quello europeo?
In realtà posso dirti quello che ho visto in Cina, ho trovato persone aperte, famiglie intere a teatro, persone disponibili e senza pregiudizi, con un grande attaccamento al pianoforte, che in Cina è uno strumento molto conosciuto ed apprezzato. Si suona in teatri in cui neanche c’è bisogno di amplificazione per come sono perfetti acusticamente, poiché sono stati creati apposta per il pianoforte. È stato molto emozionante vedere bambini in prima fila ascoltare un concerto di due ore di pianoforte. Poi è bello il dialogo con loro, sono molto affettuosi e hanno un modo di porsi molto semplice ed ospitale. Questo succede anche in Europa, però in Cina ho scoperto un mondo nuovo che non conoscevo e al quale sono molto affezionata.
C’è una parte del mondo in cui ti piacerebbe suonare?
Mi piacerebbe molto suonare in America. In realtà mi piacerebbe suonare ovunque, mi piace proprio il mondo. Mi piace viaggiare e conoscere nuove culture. Questo disco uscirà in Giappone, Cina, Corea e Hong Kong e sarà interessante scoprire nuovi mondi e nuove stanze.
Con il tuo scorso disco hai incontrato qui in Italia diversi haters. Ti fai influenzare dai loro commenti, a volte feroci, oppure vai dritta per la tua strada?
Io ascolto tutto quello che mi dicono, di positivo e negativo. Sono una compositrice e porto avanti una mia idea di musica, sono consapevole del fatto che questo può piacere o non piacere. Spero che più persone possibili possano appassionarsi alla mia musica e possa imparare a comprenderla anche chi ha dei pregiudizi a riguardo. Nonostante la mia formazione, non sono una musicista classica, non ho scelto quella carriera. Ho scelto di essere una compositrice e non una esecutrice, che è un’altra cosa e un altro mondo. Ho un grande rispetto per gli esecutori, ma non è il mio lavoro, io uso il pianoforte come strumento di comunicazione in un modo completamente diverso.
C’è qualcuno con il quale ti piacerebbe comporre del mondo musicale in generale?
In Italia con Francesco De Gregori, mentre all’estero mi piacerebbe molto fare qualcosa con Sia.
Uno dei brani del disco si chiama Dinosaur on a cheese planet, che è un titolo decisamente curioso. Di solito come scegli i nomi dei brani?
All’interno del disco ci sono dei testi che spiegano come nascono i brani e cosa significano per me, in modo da dare una spiegazione generale prima che le persone facciano loro la mia musica. Per quel che riguarda il dinosauro, il tutto è partito dal fatto che non ricordo mai cosa sogno, però un giorno me ne sono ricordata uno e ho deciso di disegnarlo con la musica: questo sogno riguardava un dinosauro che si sveglia su un pianeta di formaggio. La stesura della musica si basa sulla descrizione di questa situazione, il dinosauro ha paura e si sente solo, però poi capisce che non è male essere libero, perché fluttua nell’aria, si capovolge e fa le capriole. È un pezzo da ascoltare dopo aver conosciuto la storia. Lo descriverei come un sogno un po’ surrealista.
Progetti per il futuro?
Inizialmente faremo l’instore tour che tocca le librerie Feltrinelli e Mondadori. Poi partiremo per il tour vero e proprio prima in Italia e poi all’estero, dove andrà di pari passo con l’uscita dei dischi in Cina, Hong Kong, Giappone e Corea.
Articolo di Fiorella Vacirca