L’indie è il protagonista assoluto delle classifiche italiane
Non c’è ombra di dubbio, l’indie è il protagonista assoluto delle classifiche italiane. L’evoluzione unica che ha subito durante gli anni duemila l’ha, indubbiamente, trasformato in un genere musicale vero e proprio, dotato di caratteristiche precise e riconoscibili, che oggi è al vertice della popolarità.
Ma è sempre stato così? La risposta è no, anche perché la parola indie rappresenta semplicemente l’abbreviazione del termine “indipendente” e non un genere musicale ben definito tant’è che racchiude al suo interno tutta quella musica autoprodotta o prodotta da piccole etichette discografiche autonome e non vincolate a nessuna Major.
Il termine indie, nella sua accezione più pura, si riferisce quindi al metodo di produzione e distribuzione, per l’appunto indipendente, ossia svincolato dal sistema delle majors discografiche.
Erano gli anni ’80 quando, sull’onda internazionale della new wave, le prime etichette indie nostrane si affacciarono al mercato supportando la crescita dell’alternative made in Italy. Coraggiose, lungimiranti e visionarie, piccole e nuove etichette discografiche che abbatterono una dopo l’altra tutte le barriere della tradizione.
Dato per oggettivo il fatto che l’indie non sia un genere musicale va necessariamente detto che, raggruppando un ampio margine di artisti, è di fatto diventato un contenitore che si può però suddividere in numerosissimi sottogeneri.
Quando oggi si parla del genere indie si intende una tipologia di musica indipendente che fa riferimento principalmente a un caratteristico stile di scrittura dei testi ma anche di produzione musicale e non necessariamente, come nell’intento originale, all’autonomia dal punto di vista discografico.
Come sempre c’è un momento da cui il nuovo ha inizio e, in questo caso sono gli anni ’80, periodo storico-musicale in cui nasce la prima macro-differenziazione, ossia movimenti indie-rock e indie-pop, entrambi fortemente ispirati alle sonorità post-punk.
È proprio in questo periodo che, attorno a giornali come il britannico New Music Express oppure a piccoli negozi di musica, nascono le prime etichette indipendenti.
Alcuni autorevoli critici attribuiscono la diffusione e il relativo successo del movimento indie alla distribuzione di una cassetta, supporto magnetico utilizzato al fianco del vinile prima della nascita del CD e dei vari formati digitali.
Si tratta della C86, una cassetta pubblicata nel 1986, proprio dal settimanale New Music Express in collaborazione con la Rough Trade Records.
Sulla cassetta erano registrati ventidue brani esclusivamente realizzati da band esordienti che avevano contratti con le nuove etichette indipendenti. Tale progetto ha dato la possibilità ai gruppi partecipanti di farsi conoscere su larga scala.
In Italia, invece, questo genere affonda le proprie origini nel periodo compreso tra la seconda metà degli anni Novanta e i primi anni del Duemila quando si formano le prime band proto-indie, tra cui ricordiamo gli Afterhours, i Baustelle, i Verdena, i Marlene Kuntz, i Bluvertigo e i Tre Allegri Ragazzi Morti.
Queste band hanno raccolto i primi consensi offrendo agli ascoltatori una nuova musica completamente differente dal mainstream in voga in quel periodo.
Questo è principalmente il motivo per cui queste band sono riuscite a riscuotere un discreto successo creando di fatto una vera e propria nicchia costituita da amanti del genere, nonostante il distacco dalle Major e dalle sue invasive capacità di distribuzione.
Il vero boom arriva soltanto negli anni dieci del Duemila, anche grazie alle nuove tecnologie che hanno dato a chiunque la possibilità di poter condividere la propria musica attraverso i social network e piattaforme specializzate.
Tra i primi che ne hanno usufruito troviamo band come I Cani, i Thegiornalisti, i The Zen Circus e artisti come Vasco Brondi, Colapesce, Calcutta e Levante, definiti come i pionieri della seconda ondata della scena indie italiana.
Oggi, questa categoria si è riempita di molteplici sfumature, assorbendo caratteristiche da generi come il pop, esempio i Thegiornalisti come band e in seguito Tommaso Paradiso con il suo progetto solista, e il rap come nel caso di Coez, Carl Brave e Willie Peyote.
E oggi? Di fatto l’indie, elevato a genere musicale, è uno dei più ascoltati in Italia. La prova incontrovertibile dell’importanza del fenomeno si evidenzia guardando le classifiche dei player/digital store come Spotify, Apple Music o Amazon Music nei quali è impossibile non notare nomi come Calcutta, Gazzelle, Pinguini Tattici Nucleari, Lo Stato Sociale o Brunori Sas, citando solo alcuni dei principali esponenti.
Tra questi, pochi, troviamo anche chi è riuscito ad avere successo senza snaturarsi e chi invece, molti, hanno modificato il proprio stile, formando alcuni sottogeneri come l’itpop.
Di fatto, la pandemia, ha interrotto la parabola di molti di questi artisti che hanno centinaia di migliaia di ascoltatori giornalieri, numeri che, se destinati a crescere ulteriormente, possono prospettare l’ipotesi di futuri tour anche negli stadi, fino a non molti anni fa appannaggio dei big prodotti e distribuiti dalle Major.
La domanda ora è cambiata e assomiglia molto a quella che si facevano le Major nel momento della grande diffusione dei supporti fisici tradizionali, ossia l’indie arriverà mai nei grandi stadi italiani?
Sicuramente sì, ma quale sarà il primo artista a calcare un palco come quello di San Siro per un proprio concerto? Per ora, anche grazie alle scelte di Amadeus, l’indie italiano è già approdato a uno dei palchi più prestigiosi della musica italiana, quello del teatro Ariston, sede dello storico festival di Sanremo che, il prossimo anno, festeggia la sua 72° edizione.