L’intervista al noto avvocato e Presidente dell’Ami, attualmente in tutte le librerie con “C’eravamo tanto aRmati”, storie di cuori spezzati
Il Festival della canzone italiana può anche essere un’occasione per approfondire tematiche importanti, che vanno al di là della musica, ecco come all’interno di una manifestazione canora si possono lanciare messaggi socialmente utili e parlare del ruolo della famiglia nell’epoca in cui viviamo. Ne abbiamo parlato con l’avvocato Gian Ettore Gassani, esperto del diritto di famiglia e Presidente dell’Ami (Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani), che abbiamo incontrato in occasione della presentazione del suo libro “C’eravamo tanto aRmati”, avvenuta lo scorso 9 febbraio nella sala “Pino Daniele” del Palafiori di Sanremo.
Buongiorno avv. Gassani, benvenuto su musica361. Partiamo dal suo ultimo libro “C’eravamo tanto aRmati”, com’è nata l’idea di questa sua terza opera letteraria?
Ho voluto raccontare le declinazioni delle violenze in famiglia, attraverso storie di vita vissuta in chiave romanzata, quello che accade in uno studio legale tutti i giorni. Siamo un Paese che vive perennemente in ritardo, sempre ultimi in Europa, mancano dei coordinamenti di rete tra le varie figure professionali, per cui spesso si lavora a compartimenti stagni senza la dovuta interazione e collaborazione. Il messaggio del libro non vuole in alcun modo creare allarmismo, ma se non cominciamo a mettere in atto politiche per la famiglia, i preoccupanti dati statistici attualmente pervenuti sono destinati a diventare ancora più gravi.
Nel sottotitolo “Storie di cuori spezzati” ha voluto sottolineare il leitmotiv dell’intera opera?
Si, perché sono presenti storie diverse ma con un carico di vita in comune, storie di violenze contro le donne, i giovani e personalità di ogni estrazione sociale, conseguenza di un sistema inadeguato che non garantisce i diritti delle persone più deboli. Soltanto da pochi anni abbiamo introdotto le unioni civili, equiparato tutti i figli, stabilito che le famiglie con i disabili debbano avere un futuro con la legge “Dopo di noi” e finalmente è stato introdotto il biotestamento, ma c’è ancora molto da fare.
Lei è Presidente dell’Ami, associazione che ha da poco compiuto dieci anni di vita. Qual è il suo personale bilancio?
La nostra è un’associazione semplicemente straordinaria, perché insieme a tante altre figure professionali ha costruito un nuovo modo di intendere il diritto di famiglia. Lavoriamo con i servizi sociali, con gli psicologi, con i mediatori familiari, con i magistrati, non è un’organizzazione prettamente forense, ma un insieme di linguaggi comuni uniti in un unico idioma: il “famigliarese”.
Che idea si è fatto circa le cause dell’incremento delle separazioni negli ultimi decenni?
Rispetto al passato, probabilmente, c’è minore consapevolezza dell’impegno coniugale e, sempre più spesso, c’è alla base una scarsa maturità di chi si appresta a fare un passo così importante, per cui è sorto un atteggiamento consumistico nei confronti del matrimonio, alle prime avvisaglie di crisi si contatta subito l’avvocato senza cercare una mediazione e fare un tentativo per recuperare il rapporto.
Lei non è uno psicologo ma, nella sua trentennale carriera, di coppie in crisi ne ha frequentate parecchie. Nella musica e nell’arte in generale, l’amore tormentato è sempre fonte d’ispirazione per gli artisti e catalizza l’attenzione del pubblico. Secondo il suo personale punto di vista, per quale motivo?
Diciamo pure che sono diventato virtualmente uno psicologo, perché a furia di raccogliere i racconti e i pianti degli altri è cambiato il mio tipo di approccio nei confronti dei clienti, ben diverso da chi amministra i condomini o si occupa di recupero crediti. Al Festival di Sanremo ci sono da sempre canzoni d’amore, al cinema nove film su dieci trattano i sentimenti e anche il mio libro, se vogliamo, parla d’amore, perché non fa altro che decantare la speranza di un recupero di certi valori, perché il fatto di elencare le difficoltà della famiglia non significa non avere fiducia nel prossimo. La musica è un riflesso condizionato, tutti noi quando ascoltiamo una canzone ci ricordiamo di una storia d’amore, ad esempio, quando sento ‘Maledetta primavera’ mi torna in mente la mia prima fidanzatina, un ricordo piacevole, anche se quella canzone ha un testo particolarmente triste, a volte capitano anche questi ossimori (sorride, ndr).
Sempre più spesso, purtroppo, la violenza di genere sfocia in femminicidio. Quest’anno al Festival sia Nina Zilli che Michelle Hunziker hanno affrontato questo tema, secondo lei, certi messaggi possono in qualche modo influenzare positivamente il pubblico?
Certo che sì, i messaggi che tendono a sottolineare una piaga sociale credo siano sempre ben accetti, anzi, non sono mai abbastanza. Il problema è spesso il contrario, perché tendiamo ad affrontare argomenti così delicati una volta che sono successe le tragedie, mentre è molto importante la sensibilizzazione di certe tematiche nel quotidiano, anche da un palco così importante. Non si può pensare solo di cambiare il codice penale con l’inasprimento delle pene, bisogna partire dalla cultura del Paese cambiando la testa delle persone, soprattutto degli uomini che devono imparare ad accettare le decisioni delle donne, un insegnamento che bisognerebbe indottrinare sin da quando si è bambini.
Oltre che uno stimato avvocato, lei è un volto amico del piccolo schermo. Quanto conta oggi l’esposizione mediatica per lanciare un messaggio e far conoscere la propria figura professionale?
Mi reputo un personaggio molto social e televisivo per via della carica istituzionale che ricopro all’interno dell’avvocatura, probabilmente se non fossi Presidente dell’Ami sarei un po’ più schivo, meno attratto dalle telecamere. Dal momento che rappresento migliaia di avvocati, reputo giusto espormi in prima persona per far conoscere le iniziative e le cariche che ricopriamo all’interno della società. Il giorno che finirò di essere portavoce di questa nobile associazione, credo che difficilmente mi vedrete ancora in televisione.
Tornando a parlare di musica, quali sono i suoi ascolti?
Sono un accanito sostenitore di Steve Wonder, dei Genesis, dei Pink Floyd e dei Beatles, che sono un po’ gli artisti della mia generazione. Di italiani, invece, apprezzo sicuramente Lucio Dalla, Pino Daniele e Francesco De Gregori.
Per concludere, qual è il messaggio che vorrebbe trasmettere ai lettori attraverso le pagine di “C’eravamo tanto aRmati”?
In primis quello che io non scrivo libri per far soldi, infatti ho rinunciato ai diritti. Se la gente smettesse di leggere romanzetti e si avvicinasse a qualcosa di sociale, psicologico e giuridico-familiare, credo che non sarebbe male, soprattutto se scritti in un linguaggio comune e non in “avvocatese”, come nel mio caso. Esercito la mia professione con grande orgoglio, non intendo in alcun modo smettere di fare l’avvocato, scrivo saggi perché credo fermamente che sia importante parlare oggi di famiglia, offrire spunti di riflessione a cui non siamo purtroppo più abituati.