Nella scena metal italiana gli Extrema hanno giocato un ruolo fondamentale fin dagli esordi, come dimostra il loro primo album del 1993 Tension at the Seams, accolto con entusiasmo da pubblico e critica internazionale e considerato oggi uno tra i più influenti del genere in Italia. Musica361 ha raccolto un’intervista intervista a Tommy Massara.
Chi ha acceso la fiamma, e l’ha tenuta viva fino a oggi, è il chitarrista Tommy Massara che per Musica361 ha rilasciato un’intervista in pieno stile Extrema raccontando retroscena e sensazioni riguardanti la storia della band e la loro essenza. Il 2016 è inoltre un anno importante per il gruppo: giusto il tempo di spegnere le trenta candeline di carriera che a maggio hanno pubblicato un nuovo EP dal titolo Old School, contenente sette tracce composte nel 1987 (tranne la prima, Life) che hanno finalmente visto la luce.
Oltre che per il loro genere di appartenenza, gli Extrema sono ricordati per aver dato vita con gli Articolo 31 al primo esperimento crossover in Italia, mischiando hardcore e rap secondo il modello americano. La prima domanda a Tommy è relativa proprio al risultato finale di quel progetto, Mollami.
Come è nata l’idea della collaborazione con gli Articolo 31 per Mollami?
La canzone è del 1995, anno in cui pubblicammo il nostro secondo album The Positive Pressure (of Injustice) per la Flying Records, che in quegli anni aveva scoperto molti artisti della scena alternativa e di cui facevano parte anche gli Articolo. Francesco Diana in particolare, la persona che ci volle fortemente alla Flying Records, fece tanto per la musica italiana di quegli anni e fu proprio lui a propormi questa collaborazione. Sapeva che io avevo gusto per la scena rap e soprattutto per artisti come Cypress Hill e Public Enemy, che rappresentano in pieno quella cultura e non hanno niente da spartire con il rap mainstream di oggi.
Per gli Extrema era un momento particolare, di ritorno da un periodo a New York, e quando Diana mi propose il progetto io dissi di no, non mi piacevano gli Articolo e il loro primo album non era ciò che avevo in mente quando pensavo a una collaborazione crossover con gli Extrema. Mi ha mandato Mollami per cercare di convincermi, ma ragazzi, proprio non mi piaceva. Gli dissi però che se avessi avuto la possibilità di lavorare liberamente a un’idea che avevo in testa, allora si poteva fare. Alla fine del pezzo originale è rimasta solo la parte vocale, anche se ho sempre sostenuto che andasse pensata ex-novo, e ne è uscito un prodotto che molti hanno apprezzato e altri no, come ben sappiamo. Io sono rimasto sicuramente soddisfatto dal risultato, in quanto è effettivamente un brano crossover che mischia generi diversi per creare buona musica, cosa che negli anni seguenti è venuta a mancare a livello internazionale.
Quest’anno è uscito il vostro ultimo EP Old School, e qui la domanda è d’obbligo: cosa vuol dire per gli Extrema essere old school?
Io ho una visione molto personale del termine “old school”, penso sia un’attitudine più che un genere da suonare. Gli Extrema non suonano old school, noi suoniamo il nostro genere, e l’old school non si può suonare, è ciò che sei. Penso sia sbagliato dire «Io suono old school», perché quel che si suona adesso un giorno magari lo sarà, ma di certo non lo diventa automaticamente. L’attitudine che avevamo noi negli anni ’80 era diversa, i ragazzi oggi vivono esperienze diverse, il music business è profondamente cambiato. In questo EP ci sono canzoni scritte trent’anni fa, è vero, eppure suonano attualissime anche se appartengono a un nostro periodo musicale molto diverso, si sente che non sono brani registrati nell’87. Nel pensare all’EP era spuntata fuori l’idea di fare un album di cover ma per me sarebbe stato come ammettere di non avere nulla di nuovo, e non era così, noi avevamo ancora quei pezzi, quindi ci siamo lanciati in questo viaggio nel passato degli Extrema.
Cosa consiglieresti ai giovani che vogliono fare della musica la propria vita?
Prima di tutto di divertirsi, perché la musica è divertimento. Quando noi eravamo un gruppo emergente non volevamo “arrivare” da nessuna parte, volevamo suonare e divertirci. Oggi chi suona vuole risultati immediati, complice la società e il web che chiede costantemente una risposta rapida, ma c’è bisogno di tempo per costruire le cose, bisogna perdere tempo a divertirsi, se no non c’è musica. Ti racconto un aneddoto: poco tempo fa ho conosciuto un gruppo di ragazzi che suona cover. Uno di loro mi ha chiesto consigli perché, testuali parole, “fare un gruppo è la cosa più difficile del mondo”. E io ho gli ho dato ragione, infatti la parola gruppo sta a significare più persone coese a raggiunge un obbiettivo e proprio per questo servono affiatamento e amicizia. Un altro consiglio che posso dare è quello di non innamorarsi mai di un proprio brano, mai fermarsi su una posizione, mai dire “a me piace così e non si tocca!”. Restare mentalmente aperti è fondamentale, come essere positivi e soprattutto avere pazienza. Se non arrivano subito i risultati non è detto che il progetto non funzioni, magari ci vuole solo più tempo, ma bisogna crederci e impegnarsi a tenerlo vivo.
Articolo di Edoardo Traverso