Un viaggio alla scoperta delle anime e della loro autenticità
Sara Galimberti è nata al mare, quello ostiense che ancora oggi è il suo punto di riferimento, il suo rifugio. Per lavoro è spesso in viaggio, ma lei ha fatto la sua casa dove quel mare lo può vedere e sentire. È stato come ritrovare un’amica, quelle che non importa per quanto tempo non ci si vede, perché basta davvero niente, per ritrovare la sintonia e la voglia di raccontarsi.
Il liceo classico e una curiosità verso la filosofia indirizzano Sara a sperimentare (con successo) ogni forma di espressione, dal teatro, alla musica per chiudere il cerchio con la fotografia: il corpo, la voce, gli occhi. Una creativa a trecento sessanta gradi, ma anche una sportiva. Sara, infatti, ha fatto scherma, spada e fioretto, a livello agonistico e i suoi scatti, hanno la precisione delle sue stoccate, dove l’intuito, la velocità, sono fondamentali. Per Sara oggi la “spada” è la macchina fotografica che mai “ferisce”, ma colleziona anime.
Sara parlami di te…
Nonostante il mio cognome tradisca origini del Nord, sono nata a Roma, ad Ostia. Per questo sono profondamente legata al mare e non posso vivere senza sentirne il rumore e il salino sulla pelle. Da alcuni anni vivo in un attico da dove ogni giorno faccio il mio saluto al mare, prima di cominciare la mia giornata. Per lavoro mi sposto parecchio, ma tornare per me è fondamentale, perché è quello il mio posto.
Dal mio studiolo se ho la fortuna di lavorare a casa, mi godo il panorama ritrovando il mio equilibrio, la mia essenza. Ho fatto il liceo classico e frequentato per un po’ filosofia; mi sono iscritta all’Istituto superiore di fotografia nel 2008, grazie ad un interesse ereditato da mio padre che era un vero appassionato e che mi ha lasciato un nutrito archivio fotografico.
Sei una creativa che ha sperimentato diverse forme d’arte, mettendosi in gioco con il corpo, la voce e gli occhi. Mi racconti qual è stato il tuo percorso?
Il mio alfa è stata la recitazione, poi il canto e la fotografia che mi ha permesso di chiudere idealmente un cerchio, facendomi sentire pienamente me stessa. Con la musica sono arrivata in finale a Sanremo giovani nel 2007, con Amore Ritrovato. Ad un certo punto ho capito che c’era di più.
Ho scavato e guardato dentro di me, recuperando la passione che avevo già da bambina, dedicandomi del tutto alla fotografia che mi rappresentava a 360 gradi e la musica è diventata un hobby. Ho ascoltato e dato spazio alla necessità di raccontarmi attraverso lo sguardo e il silenzio meditativo.
Cosa ha condizionato la tua fotografia?
La musica è stata propedeutica e fondamentale per il mio modo di fotografare. Sono stata un atleta nazionale di scherma e questa parentesi mi ha formato, disciplinata e abituata alla concentrazione, all’allenamento. È stato un amore a prima vista, quasi fosse una memoria karmica. Avevo otto anni e facevo già una serie di sport, tra cui la pallavolo che aveva praticato papà, quando ho assistito per caso una gara e ho voluto prendere in mano la spada: da quel momento, non ho più smesso.
Prima con il fioretto, poi con la spada, ho raggiunto un livello agonistico molto alto, ma ad un certo punto ho dovuto seguire il mio istinto e l’attrazione che avevo per le arti, ho salutato tutti e ho voltato pagina. Tutte queste passioni hanno contribuito a sviluppare la mia sensibilità nella fotografia. La musica in particolar modo, con la ricerca continua di frequenze benefiche, mi aiuta a trovare il giusto equilibrio e l’empatia necessaria a “vedere” oltre le apparenze.
Sei stata un’eccellenza nello sport, hai calcato il palco di Sanremo con la musica, eppure hai avuto il coraggio di cambiare. Sei ripartita con determinazione con la tua professione di fotografa, riuscendo a dimostrare, ancora una volta il tuo talento. Come hai impostato e avviata la tua nuova carriera?
Ho studiato e fatto tanta gavetta, partendo con i ritratti in studio e parallelamente, facendo i miei reportage per Roma. Con pazienza ho costruito una rete variegata di uffici stampa, produzioni televisive e cinematografiche.
Credo tanto nel fare rete e, anche oggi, ho due studi di riferimento, perché per me la collaborazione, lo scambio sono fondamentali e irrinunciabili. Ho cercato di creare il mio modo, il mio stile e oggi ho una identità definita che è la mia vera essenza.
Quando puoi scegliere che cosa fotografi?
La natura, in tutte le sue forme, ma anche ritratti nella città, casuali. Il ritratto e il racconto delle anime sono ciò che amo e l’empatia, l’ingrediente che non può mai mancare. È un viaggio condiviso e l’obiettivo, diventa il mio occhio. Quello che mi interessa è la storia, quello che ci sta dietro. Anche in esterna, prima di arrivare a scattare ho bisogno di avere il tempo per trovare la giusta intesa, un caffè, per chiacchierare, rompere il ghiaccio.
Non solo, ma quando c’è la possibilità ho sempre con me una playlist per ricercare con la musica la giusta frequenza sulla quale sintonizzarmi con il mio soggetto, del quale riesco a percepire le contrazioni del respiro e fino a che non siamo connessi, non scatto. Cerco sempre una comunione di intenti, solo così in uno scambio reciproco, trovo lo scatto migliore: quando capisco che si lascia andare, è il momento di cominciare, non prima. Amo i ritratti distratti, fatti a distanza per cogliere al volo e senza, fraintendimenti, il meglio.
Se fosse un viaggio, dove ci porteresti?
Un viaggio nelle emozioni, nella frequenza e scambio continuo. Un viaggio alla scoperta delle anime e della loro autenticità.
Come ti presenteresti?
Sono una fotografa curiosa e attenta, fuori dagli schemi. Innamorata della vita, generosa ed empatica, perché bisogna saper dare ma anche ricevere. Concreta e organizzata, da ex sportiva sono molto disciplinata e affidabile. Rispettosa del soggetto e della sua intimità, dei ruoli. La fase di scelta deve essere condivisa con il soggetto che deve poter dire la sua, riconoscersi.
I tuoi grazie, a chi vanno?
A Tommaso Martinelli e Luigi Miliucci che sono coloro che mi hanno incoraggiata di più, spingendomi soprattutto a capire quello che avevo dentro. Mi sento di ringraziarli per avermi spinta a cercare la mia strada. La mia gratitudine va anche alla terapeuta che mi ha aiutata a guardarmi allo specchio, a guardare dentro curando le mie ferite mettendo a fuoco la mia immagine e al mio maestro di scherma (che sento ancora adesso).
Grazie a questo percorso ho avuto gli strumenti per elaborare la perdita di mio padre, morto all’improvviso in un incidente. La sua perdita, paradossalmente, mi ha fatto sentire sintonizzata e viva più che mai grazie anche a quanto lui aveva seminato dentro di me, che poco alla volta ha cominciato a fiorire. Grazie alla mia famiglia e alla fotografia che è stata la mia salvezza.
Ciao Sara, sei generosa e riconoscente, ma nel salutarci sono io a doverti ringraziare per aver condiviso ogni cosa di te: i successi, le gioie ma anche il dolore. Quel dolore che ha scavato più profondamente la tua anima, rendendola capace di trasformare la sofferenza e la separazione, in dono. Tuo padre, ne sono certa, è molto fiero di te.