Recentemente è uscito “Regina su di me”, il nuovo singolo di Lisa Manara, un canto di rinascita e libertà scritto per “portarmi dietro come una valigia il mio passato e ricordare a me stessa in quali abissi non ricadere”. Per Musica361 abbiamo intervistato l’artista dalla solida formazione classica, amante del Jazz e dell’Africa.
Ciao Lisa, recentemente è uscito “Regina su di me”, un brano molto importante che tocca il tema dell’anoressia, vuoi parlarcene?
Sono davvero felice dell’uscita di questo singolo, c’è voluto tempo perché riuscissi a svelarmi nell’intimità più recondita, e con questo brano ho guardato negli abissi senza la paura di caderci dentro. La Regina rappresenta metaforicamente il disturbo alimentare dell’anoressia che
appare come una figura maestosa, affascinante, capace di dare l’illusione di una sicurezza, di non essere sola, di essere potente ma allo stesso tempo rende dipendenti, priva di ogni forza, plagia e riempie di regole, abitudini che finiscono per annullare ogni slancio vitale asservendo ogni azione quotidiana al mantenimento di questa nuova identità. Credo che la malattia rappresenti un rifugio che alcune persone trovano quando non hanno amore per se stesse e per colmare questa voragine si aggrappano a certi meccanismi mentali che creano l’illusione di poter avere il controllo della propria vita e non sentire quella mancanza d’amore così profonda.
Considerando anche la tua esperienza personale che ti ha ispirato nella stesura del brano, che consiglio ti sentiresti di dare alle più giovani che hanno questo problema in modo che anche loro evitino di perdere i loro anni con questo dramma?
D’istinto ti direi che le abbraccerei fortissimo perché l’amore, la comprensione è l’arma più potente per combattere questa malattia. La solitudine invece accresce il meccanismo del controllo, lo rende l’unica soluzione possibile per vivere. Farsi aiutare da figure esperte è l’unica via per uscirne, fare un percorso di crescita che dia ai giovani strumenti per capire le proprie emozioni e inquadrarle in un contesto più ampio, sociale e non solo personale, e frenare quei fattori sociali che rendono fertile il terreno su cui un disagio o una fragilità personale si possono trasformare in un disturbo anche grave. Penso che il tema del riconoscimento del proprio valore sia centrale in questo disturbo, e il problema nasce dal fatto di non essere stati visti, ascoltati, capiti e riconosciuti per quel che eravamo, questo crea una forte sensibilità ai giudizi esterni che creano ansia e per reprimere quest’ansia si tenta di tenere tutto sotto controllo e la cosa più semplice da controllare è proprio il corpo attraverso il nutrimento.
Pensi che l’esposizione mediatica dei più giovani e lo strapotere dei social possa incidere negativamente?
Sicuramente non costituiscono la causa diretta ma possono acuire e cronicizzare la malattia perché il confronto con i modelli proposti amplifica la sensazione di non essere all’altezza ed estremizza l’idea illusoria di perfezione. Questo può portare all’idea di nascondere o di sovraesporre il proprio corpo per un bisogno estremo dello sguardo dell’altro.
D’altro canto però ci sono delle tendenze che suggeriscono alle persone, uomini e donne, giovani e meno giovani, di accettarsi per quello che sono, trasformando i “difetti” in punti di forza, forse è un punto di svolta rispetto al passato quando le immagini di pubblicità, moda e televisione erano piuttosto stereotipate?
Questo credo sia un primo passo per favorire l’accettazione e il rispetto di tutti i corpi indipendentemente dalla loro forma, dimensione e caratteristiche e promuovere certe immagini può aiutare ad ottenere una relazione più positiva con se stessi. Il problema socio-culturale da scardinare rimane però l’eccessivo valore e l’attenzione che la società attribuisce al corpo, ciò che andrebbe incoraggiato è il cercare il proprio valore in altri aspetti costitutivi della propria persona.
Nel singolo precedente, “Lasciami cadere”, parlavi della complessità della figura paterna, hai scelto la linea intimista come cifra stilistica o c’è spazio per altre tematiche come il sociale?
I brani che scrivo parlano di temi che sono entrati in risonanza con la mia vita, quindi seguo il mio percorso, mi appassiono, mi emoziono, vivo e faccio parlare la musica, quindi chissà quali ispirazioni mi regalerà la vita, credo ci sarà spazio per molto altro.
Hai lavorato con mostri sacri come Fabio Concato e Gianni Morandi, vuoi descrivere queste emozioni? Hai un aneddoto, un ricordo personale su questi artisti?
La collaborazione con Gianni è arrivata inaspettatamente. Il caso vuole che il direttore della band Alessandro Magri cercasse cantanti in zona Bologna per un nuovo tour di Gianni Morandi. Quasi un mese di prove per mettere in piedi uno spettacolo che avremmo portato poi sopra circa 70 palchi fra cui l’Arena di Verone in diretta RTL. Un’emozione fuori da ogni verbalizzazione.
Gianni è un gigante nella sua professione, ha già nella sua mente il quadro di ciò che deve essere il suo spettacolo e centinaia di addetti tra musicisti e tecnici sono lì proprio per quello, creare uno spettacolo di qualità che soddisfi le emozioni della gente. Di Gianni ho un ricordo più bello dell’altro, da quando mi portò in visita con lui dal presidente della Repubblica di Malta, a quando mi chiamò all’uscita del mio primo singolo e parlammo per 20 minuti al telefono, ai duetti sul palco in cui era ricorrente la battuta sui miei tacchi che erano troppo alti per lui essendo già io alta 1.74 cm e ce ne sarebbero tanti altri.
Ho avuto l’enorme piacere poi di aprire un paio di concerti di Fabio Concato suonando i brani scritti da me. È stata una magia unica. Mi ritengo davvero fortunata ad avere incontrato due artisti così incredibilmente umili, generosi e pieni di talento a servizio di una musica mai banale ma autentica.
A proposito di “mostri sacri”, quali sono i tuoi punti di riferimento musicali, tenendo conto che spazi da una solida formazione classica al Jazz?
I miei riferimenti artistici sono moltissimi e cambiano continuamente. La mia prima musa ispiratrice fu Janis Joplin che mi folgorò con questa emotività travolgente; nel tempo ho avuto diversi innamoramenti musicali da Nina Simone, a Cesaria Evora, Miriam Makeba, Lhasa De Sela, per poi arrivare ai cantautori italiani come Elisa, Dalla, Battiato. Anthony and The Johnson, Jeff Buckley, Nick Drake.
Oggi imperversano i talent e tu stessa hai partecipato a The Voice of Italy nella squadra di Riccardo Cocciante, è un’esperienza che rifaresti? La consiglieresti a un giovane che voglia intraprendere la carriera artistica?
L’esperienza a The Voice è stata per me molto pesante emotivamente. Non avevo nemmeno vent’anni, ero piccola e immatura e il piccolo schermo ha dinamiche e tempistiche che ignoravo totalmente, di conseguenza fu difficile per me gestire la pressione esercitata dal format e portare sul palco la mia personalità. Ora, più di 10 anni dopo, probabilmente riuscirei a viverla con più leggerezza e ora la rifarei consapevole di ciò che mi può o non può dare. Io consiglierei ai giovani di approcciarsi ad un Talent soltanto quando si ha già un bagaglio di esperienze artistiche e personali già nutrito.
La formazione di un artista deve partire dallo studio, dalla penna che indugia sulle parole, dai palchi che all’inizio sembrano tutti dei giganti inaffrontabili, dal fare musica con altri musicisti, dall’ascolto dei maestri.
Molto interessante anche il progetto “L’Urlo dell’Africanità”, un tributo a questo continente così bello e così martoriato, importante anche dal punto di vista artistico come dicono i nomi di Miriam Makeba o Fatoumata Diawara…
È un progetto a cui tengo moltissimo e in cui mi diverto davvero tanto. Vedere l’entusiasmo della gente che non conosce l’universo della musica africana ma che si lascia trasportare da ciò che gli arriva, è una soddisfazione enorme.
Mi hanno sempre affascinata gli artisti come Makeba, Simone, Evora, Diawara ecc. che hanno fatto della loro musica un’espressione di rivalsa da una condizione di assoggettamento e hanno messo tutto il loro talento al servizio della lotta contro le ingiustizie che li vedevano coinvolti.
Fra qualche settimana uscirà un Ep di questo progetto che potrà essere acquistato a tutti i miei concerti.
Hai partecipato a molti eventi e concerti, quali saranno i tuoi prossimi progetti?
Usciranno nei prossimi mesi altri brani che mi vedono come cantautrice, dimensione sui cui ho intenzione di perseverare sempre di più. Non vedo l’ora di portare in giro la mia musica, la magia più grande sarebbe fare un tour in teatri in cui presentare il mio progetto. Quest’estate ci sono in programma tanti festival in giro per l’Italia in cui presenterò il mio progetto di musica capoverdiana, farò anche concerti in solo in cui presenterò i miei brani e qualche apertura a concerti di artisti affermati.
LEGGI ANCHE > Radice Cubica: “Nella musica come nella vita sentimentale bisogna metterci il cuore”