È uscito La primavera della libertà, il nuovo singolo di Luca D’Alessandro, tratto dall’omonimo album La primavera della libertà. Luca non è solo un cantante ma anche un ricercatore un po’ filosofo.
Cosa vuoi trasmetterci con questo tuo nuovo brano?
Fiducia, fiducia nella vita e in ciò che abbiamo dentro. Due cose delle quali dubitiamo troppo spesso e delle quali abbiamo paura. Potremmo dire che il mio è un invito ad amare. Accettando che ciò che si ha dentro è una ricchezza da usare e non qualcosa dal quale difendersi. Emozioni, sogni, desideri. Insomma non dubitare più e segui la tua anima.
Ho notato che ha un ritmo molto frizzante, non credi che sia più un brano estivo?
Questo è un pezzo 4 stagioni! Il pezzo estivo lo farò, mi hai dato una buona idea! Questo ha un ritmo frizzante come il cuore di quelle persone che hanno scelto se stessi e non più la propria reputazione ovvero hanno scelto di seguire ciò che hanno dentro invece di quello che gli altri pensano di loro. Questa libertà non ha stagioni!
Hai 37 anni, ti è mai venuto in mente (magari 8-9 anni fa) di partecipare ad un talent show? Cosa ne pensi dei talent più popolari e dei cantanti che sono emersi?
Onestamente non ho mai pensato di partecipare. Ho sempre avuto un rapporto così intimo con la mia musica che il rumore del talent non mi ha mai attratto, e forse non mi sono mai reputato un talento… Cosa penso dei cantanti che sono emersi, penso che molti di loro si siano meritati il successo che hanno. Nonostante questo, rispetto ai molti interpreti sulla piazza, apprezzo di più chi, come Mengoni per esempio, si dedica a scrivere qualcosa di suo.
Secondo te perchè dovremmo comprare il tuo album? Qual è la caratteristica che ti distingue dagli altri?
La domanda più che altro è perché non dovreste?! Scherzi a parte… È un disco che ha più ascolti. Un ascolto, diciamo, “superficiale” che ti accompagna e si prende cura di te. Un altro ascolto più “profondo” che ti permette invece di entrare in uno spazio emotivo molto piacevole che a volte da soli non ci permettiamo di visitare. Cosa lo distingue dagli altri? Potrei dirti la produzione artistica di rilievo, i testi e invece ti dico “il silenzio”. Uno dei feedback più belli che ho ricevuto in questi giorni diceva proprio così: “dopo che ascolto il tuo disco la mia mente si ferma ed è silenzio, grazie”. In questo mondo così rumoroso il silenzio diventa davvero qualcosa che fa la differenza.
Quali sono i tuoi modelli di riferimento?
Ne ho così tanti che alla fine uno preciso non c’è. Ascolto molto cantautorato argentino e spagnolo un paio di nomi: Kevin Johansen e Jorge Drexler, mi piacciono i suoni folk della west coast come Jack Johnson, Donavon Frankenreiter e G. Love. La ricchezza del Latin Jazz di Eddie Palmieri e Poncho Sanchez, la profondità dei pilastri italiani come Fossati e De Gregori. Apprezzo molto anche la musica autoriale francese da Brassens a Adanowsky.
Con chi ti piacerebbe collaborare?
Gran bella domanda. D’istinto direi Biagio Antonacci.
Nel 2008 hai scritto un libro, ti sei sempre dedicato all’essere umano e alla psicologia, credi che ciò ti abbia aiutato per comporre?
Sì, un po’ sicuramente. Trattare alcuni temi ha affinato la mia scrittura l’ha resa ancora più divertente. Adesso quando una canzone vuole uscire ha molti più argomenti e conoscenza di cui colorarsi».
Il tuo album si intitola La primavera della libertà, a quali libertà fai riferimento?
Come ho accennato prima parlo di una libertà individuale. Una libertà che supera finalmente quelle paure che ci hanno tenuti imprigionati per tanto tempo, parlo della paura di deludere, di non farcela, di non essere accettati, e di altre paure ancora. È arrivato il momento di lasciarsele alle spalle facendo in modo che la nostra voglia di vivere sia più grande della nostra paura di farlo. Questa è la libertà.
Farai un tour?
In inverno sicuramente organizzeremo circa 5 o 6 date in diverse città. La prima sarà Milano. Sto pensando a qualcosa di più di un concerto… voglio che sia qualcosa di nuovo! Vi terremo informati.
Web: www.lucadalessandromusica.com
Articolo di Paolo Aruffo