“Un uomo solo” di Antonio Iovane, il mistero delle ultime ore di Luigi Tenco
Si è celebrato, pochi giorni fa, il 56° anniversario della morte di Luigi Tenco. Erano le 2:10 del 27 gennaio quando il suo corpo fu ritrovato senza vita nella sua stanza all’albergo Savoy di Sanremo.
Luigi Tenco aveva 28 anni e stava partecipando alla diciassettesima edizione del Festival di Sanremo che si tenne dal 26 al 28 gennaio 1967.
Durante la prima giornata, il 26, aveva cantato la sua canzone “Ciao amore, ciao” in coppia con Dalida, canzone che fu bocciata e non passò in finale. Poi rientrò in albergo.
La sua morte ha una versione ufficiale, ossia che si sia ucciso con un colpo di pistola alla tempia destra.
Ma i misteri sulla sua morte, nel tempo, hanno creato dietrologie, interpretazioni e alimentato sospetti compresa una versione dei fatti di Lucio Dalla che, nel 2011, ha raccontato che «di Luigi ero molto amico e all’Hotel Savoy io alloggiavo proprio nella stanza accanto. Non mi accorsi di nulla. Quando mi avvicinai alla stanza vidi le gambe di Luigi steso a terra. Convinto di un malore mi misi a cercare un medico».
Tenco lasciò una lettera di addio in cui scrisse «Io ho voluto bene al pubblico italiano e gli ho dedicato inutilmente cinque anni della mia vita. Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro) ma come atto di protesta contro un pubblico che manda “Io tu e le rose” in finale e a una commissione che seleziona “La rivoluzione”. Spero che serva a chiarire le idee a qualcuno. Ciao. Luigi».
Antonio Iovane, l’autore di “Un uomo solo” edito da Mondadori, con un taglio tipicamente giornalistico, scrive un saggio che non ha la presunzione né di giustificare tantomeno di assolvere.
Nel suo lavoro Iovine cerca di mettere a fuoco il carattere, i dubbi, le fragilità, i tormenti di un artista complesso: Un artista non del tutto a suo agio con i suoi tempi, un artista che affrontava la sua vita e la sua arte, demone interiore, con uno sguardo rivoluzionario da “uomo solo”.
Sicuramente Tenco era un uomo incompreso, anche da chi diceva di amarlo. Il lavoro di Iovine rappresenta una testimonianza per le generazioni a venire, per permettergli di comprendere il passato dei loro padri.
Attraverso un’imponente ricerca d’archivio, l’autore cerca di ricostruire le ultime ore di vita di un uomo, di un artista preda delle sue ossessioni e dei suoi tormenti.
Ma, come cantava Freddy Mercury, «the show must go on» e così quel festival continuò imperterrito mentre sul palcoscenico della vita di Tenco calò il sipario ma non l’oblio.
Il libro è un excursus intimista e psicologico su una delle pagine più nere della musica italiana, in cui l’estrema fragilità della coppia Luigi-Dalida è messa in luce.
Dalida, 20 anni dopo, in preda a una profonda depressione, si toglierà vita con un’overdose di barbiturici.
Un libro scorrevole, senza alcun segreto rivelato, da fedele cronista della storia.
«Secondo me, un cantante non deve essere soltanto una macchina da soldi. Per prima cosa deve esprimere quello che ha dentro. Uno scrittore lo farebbe con un romanzo, uno scultore col marmo, perché il cantante non dovrebbe farlo con una canzone? Credo anch’io, come Jacques Brel, che un uomo debba essere interamente quello che vuole essere» disse Luigi Tenco. E questo rimane il suo testamento.