Il trionfo dell’Argentina porta alla ribalta due brani che il pubblico aveva dimenticato per diversi motivi
L’Argentina Campione del Mondo era una realtà che non si vedeva da 36 anni. L’ultima volta che era finita così, il suo capitano era sempre un numero 10. Quel Diego Maradona per cui oggi si sprecano i paragoni con l’altro predestinato, Lionel Messi. Praticamente un’intera generazione non aveva ancora visto l’Argentina vincere un Mondiale. Qualcuno pensava ci fosse una maledizione. Qualcuno ipotizzava scherzosamente che la responsabilità fosse di Boldi, Villaggio e Banfi che in Scuola di Ladri chiudevano la pellicola con il furto della coppa ai danni della Nazionale Albiceleste. Fatto sta che i mancati successi sportivi, impedivano a molti di conoscere il tradizionale inno che risuona in occasione delle vittorie.
In questa puntata di MusiCalcio, dunque, racconteremo la storia dell’inno dell’Argentina.
Come da copione, infatti, la canzone ufficiale del Mondiale viene presto soppiantata da quelli che riguardano la squadra vincitrice. Con buona pace di quello che resterà uno dei più grandi show musicali, andato in scena nella emozionante cerimonia di chiusura. Scritto da Vicente Lopez Y Planes e Blas Parera, Oid Mortales el grito sagrado ha ormai 209 anni. Si tratta di un canto solenne e patriottico, che risentì della tradizione operistica italiana ma soprattutto dell’influenza francese con la Marsigliese. Questo vale sia per la struttura melodica sia per il testo. L’Argentina, infatti, ha un inno che parla di libertà, unità e uguaglianza.
Così come accaduto in Italia per tanti anni, anche in Argentina solo recentemente si è ripreso a cantare a squarciagola l’inno. Fino a qualche tempo fa, all’inizio di ogni partita risuonavano solo le note: Messi e compagni tenevano le bocche cucite. Oggi, con una grave crisi economica in atto, i calciatori sembrano avere ripreso la tradizione riscoprendo il valore di quella canzone.
Si rivolge proprio a tutta la nazione argentina il ritornello: “Ascoltate, mortali, il grido sacro”.
Strumenti ad arco e voci basse, tipiche dei canti di montagna, accompagnano quindi una canzone ricca di orgoglio e speranza. Ecco perché, dopo la vittoria ai Mondiali, questo brano rischia di diventare ancor più attuale. Il desiderio di riscatto e indipendenza si unisce infatti a un sentimento di gioia per il futuro, che sarà più roseo. In quel caso si parlava di indipendenza dalla Spagna, oggi diventa una voglia di autonomia economica per ripartire in tutta la sua forza. Perché una vittoria faccia proseguire per sempre e ovunque quell’atmosfera di gioia. Il canto, infatti, dice: “Siano eterno gli allori che riuscimmo a conquistar”. Non vi è dubbio che ora siamo in molti a sperarlo in Argentina.
Insomma, un bel brano che si associa a una nazione, questa volta più che mai nell’ambito calcistico.
Eppure il vero inno mondiale, come nella logica delle cose, è un altro. Muchachos è infatti il riadattamento della canzone Para no verte mas. Il successo di ventitré anni fa, cantato da La Mosca Tse-Tse, è tornato alla ribalta, con un testo diverso, grazie a questa cavalcata vincente dell’Argentina. È una vera e propria dedica alla nazionale, dopo le finali perse (1990 e 2014) e le lacrime spese. Diego e Lionel i due fenomeni esplicitamente inneggiati da questo brano pop, frizzante e orecchiabile.
Lo avevamo detto che il Mondiale sarebbe stato l’occasione per vivere un clima estivo, anche se siamo a dicembre. Ecco, il vecchio tormentone dell’estate 1999 è tornato di moda facendo compagnia a Jingle Bells & co. La musica e il calcio sanno ridare un senso a tutto ciò che, altrimenti, rischierebbe di retrocedere nei nostri pensieri…