Il nuovo singolo “Blu” della band genovese sancisce l’inizio della loro nuova avventura in lingua italiana. Il suono strizza l’occhio all’indie rock.
I Moscow Club vengono da Genova e hanno un suono internazionale, anzi “universale”. Dopo un’esperienza pluriennale a cantare in inglese, seguendo gli schemi degli artisti che li hanno maggiormente influenzati (Editors, Arctic Monkeys, The Kooks e molti altri), il power trio ligure ha deciso di cambiare muta e cantare in italiano. Si chiama “Blu” la nuova canzone della band composta da Gabriele Pallanca, Federico Lobascio e Dario Monaco. Per mantenere la stessa spinta post punk e new wave in questa avventura, si sono affidati alla bravura del produttore Mattia Cominotto presso il Greenfog Studio di Genova.
“Blu” rappresenta il vostro primo singolo in italiano. A cosa è dovuto il passaggio alla vostra lingua madre? Che difficoltà avete avuto nel comporre?
Il passaggio all’italiano è stato dovuto a Federico, che ha sentito la necessità di far esprimere la band nella propria lingua madre. Ci siamo guardati in faccia, sapendo comunque di aver dato alla luce un EP come “Six Indie City” (2015), che sintetizzava e racchiudeva in sè l’esperienza in inglese, e abbiamo trovato nuovi stimoli A quel punto per noi è stata una scelta importante. Visto che la musica italiana negli ultimi anni ha avuto un maggiore ascolto, sopratutto da parte dei ragazzi, abbiamo pensato che fosse giusto provarci, senza sapere a cosa andavamo incontro. In primo luogo abbiamo provato a rifare i pezzi non incisi, che erano rimasti in saletta, adattandoli in italiano. Non eravamo convinti. Quindi abbiamo deciso di cambiare proprio il metodo di scrittura. Passare dall’inglese all’italiano è come cambiare lavoro, tutti i metodi che avevamo fatto nostri in questi anni non andavano più bene. L’italiano è una lingua molto meno musicale, ti rende più nudo di fronte all’ascoltatore. L’inglese, grazie alle assonanze, ti fa nascondere dietro le sue parole. Siamo ripartiti con una nuova impostazione.
Forse per provarci davvero all’estero bisogna andare fuori dall’Italia. Vivere in prima persona quello che si canta, nella lingua in cui si canta.
10 anni fa, o di più, la vena indie rock ha scatenato un fenomeno. Se suonavi in una band non potevi fare altro che quella cosa lì, tendente ai The Kooks, agli Arctic Monkeys. Figli degli Oasis e con una nuova ondata brit che veniva da Sheffield, piuttosto che da Brighton, non potevi farne a meno. Per questo l’inglese era la scelta ideale. In più, lo facevi a Genova o in Italia, ma sapevi che non ti saresti trasferito. Lo facevi per passione, ma allo stesso tempo sognavi.
Ma lasciamo l’inglese al passato, anche se l’estero ritorna in altro modo nelle vostre canzoni. Nel nuovo singolo “Blu” è presente esteticamente la tematica orientale. Come è nata l’idea e a cosa è attribuita?
La scelta della tematica orientale è venuta dopo le decisioni del regista del video, Tiziano Colucci, ed è slegata dal testo della canzone. C’è piaciuta così tanto l’idea del regista da farla diventare anche l’estetica della cover, che ha un l’ideogramma di “blu”. Il video, come il testo della canzone, vuole essere di carattere universale, ci sono una ragazza cinese, un ragazzo di colore, che insieme a noi fanno un mix per dare un messaggio universale, che vada oltre all’Italia o a Genova nel nostro caso. Nello specifico la canzone vuole suscitare la mancanza verso una persona, che ognuno può impersonificare a piacimento, perché non parla esplicitamente di un amore, nemmeno di una amicizia.
Quali spiragli ci sono nel mercato per far emergere qualcosa di nuovo?
Ormai tutto passa dal produttore, l’etichetta può contare, ma non basta. Se guardiamo le ultime uscite, le produzioni sono di alto livello. Se vuoi emergere non puoi non farti fare un disco da un produttore bravo, serio e conosciuto, che plasma il suono a favore, anche, del passaggio in radio.
Quindi la radio ha ancora senso in un periodo storico dove gli ascolti vengono spinti tanto sulle piattaforme streaming?
Si, ha totalmente senso. La radio si ascolta. Nonostante internet e le piattaforme, è ancora una potenza. Per arrivare alle radio importanti devi avere un’etichetta e un ufficio stampa che siano altrettanto una potenza.
Avete citato band come gli Arctic Monkeys e questo apre una finestra interessante. Se dal 2016 è tornata la moda synthpop in Italia (Thegiornalisti, Ex-Otago, ecc.), ho notato che nella nuova ondata di band emergenti vengono spesso fatti riferimenti agli Arctic Monkeys e la proposta si sta spostando proprio su quel tipo di suono, ma in italiano. Avete notato anche voi questa cosa?
L’ultimo singolo di Calcutta, “Paracetamolo”, ha un riff molto “turneriano” (facendo riferimento ad Alex Turner degli Arctic Monkeys, nda), infatti Calcutta è un discorso a parte, lui può fare quello che vuole. L’itpop si sta dividendo in diverse parti, quella synthpop e quella che strizza l’occhio agli anni ’60/’70 (Calcutta, Giorgio Poi, ecc.). Noi nasciamo come power trio, abbiamo avuto quel tipo di influenze e limitarle agli Arctic Monkeys sarebbe sbagliato. Si potrebbero aggiungere i The Kooks, come già anticipato, i Phoenix, gli Editors, tutta quella parte new wave e post punk che caratterizza parte del nostro suono. Non possiamo anche non citare due mostri sacri come Franco Battiato e Lucio Battisti. I tre cardini di un pezzo dei Moscow Club sono la ritmica in sedicesimi, un basso con il chorus e un arpeggio con riverbero e delay.