Musica a Teatro: Alessandro Baito, a est dell’Eden

Alessandro Baito: un artista nel giardino dell’Eden. La nostra utopia è un mondo armonico in cui tutti possono esprimersi secondo le proprie passioni e le proprie inclinazioni

Musica a Teatro: Alessandro Baito
Musica a Teatro: Alessandro Baito – Esiste una sola missione: comunicare in ogni senso, mettere insieme le persone per confrontarsi e crescere insieme (Foto © Massimo Allegri)

Non canta e non suona… non sa nemmeno fischiare con le dita! Ma l’attore, drammaturgo e insegnante Alessandro Baito di spettacoli con musica ne ha fatti, e ne sta per fare, veramente parecchi…

Qualcosa su di lui in breve.

Attore nella compagnia Teatro in Mostra di Como di Laura Negretti dall’ anno della sua fondazione. Presente in diverse produzioni della compagnia:

Antigone (basata principalmente su Sofocle e Anouilh);

Café Belle époque (la storia de La Signora delle camelie/La Traviata vissuta da una coppia di giovani camerieri nella Parigi di inizio XX secolo);

Di sabbia e di vento (la discriminazione di genere nel doppio racconto della storia di Giovanna d’Arco e di Camille Claudel).

Professore di inglese, principalmente ma anche spagnolo, (supplente!!!)

Attore per spettacoli nelle scuole secondarie per conto della Compagnia El Tablado di Milano, con spettacoli e laboratori in lingua spagnola

Lettore per l’Associazione Mnemosyne di Monza, soprattutto nel loro progetto “Inchiostri d’amore”, una serie di reading che fanno rivivere le storie d’amore di personaggi famosi.

Significativa una delle ultime produzioni su Frank Sinatra e Ava Gardner. La musica è sempre presente dal vivo, ma nel caso di storie di cantanti ovviamente diventa davvero co-protagonista.

E gli spettacoli con musica che ama particolarmente ricordare sono:

Just for One Day, spettacolo multimediale con la regia di Giorgio Magarò. Teatro, danza, canto, musica dal vivo: un’alternanza di linguaggi per esprimere la forza e l’universalità del mondo che David Bowie ha creato nella sua lunga carriera.

Interpretava ad ogni spettacolo tre/quattro testi, traduzioni di canzoni, accompagnato da musica improvvisata (pianoforte o percussione a seconda dei casi).

Uomini siate e non pecore matte, un reading che ha redatto/scritto sul tema della follia (che poi è il tema del peccato) in Dante. Debutterà a Colico il 19 settembre.

A livello musicale è interessante perché ha raccolto diverse citazioni di Dante nella musica italiana (Jovanotti, Gianna Nannini, Branduardi, Capossela, Venditti, Vecchioni, Ligabue, Battiato, Guccini) e soprattutto in quel trend degli anni 70 che ha visto il proliferare in ambito progressive  di rielaborazioni dantesche (Radiohead, Metamorfosi, New Trolls).

Shoto, un testo che ha scritto e diretto e interpretato per la scuola di karate del suo paese (Cislago) nel 2019. Praticamente il testo essenziale veniva recitato in Voice off e gli atleti eseguivano esercizi e kata coreografati sulla musica.

Per l’associazione che ha con sua moglie, l’artista, fotografa e gallerista Valentina Anna Carrera, A Est dell’Eden, ha elaborato diverse letture, frutto di ricerca e scrittura, soprattutto all’interno del progetto Bereshit sulla cultura ebraica.

La figura del Golem, la Shoah, l’Alfabeto e il suo simbolismo. Fatto spesso con musica dal vivo ( con violino o con bayan), altrimenti comunque la musica è stata sempre essenziale 

Cosa ascolti nel privato? Ci sono musiche che per te hanno una funzione terapeutica, che ti aiutano a sentirti meglio, o ti aiutano a concentrarti?

Ho sempre sentito un’attrazione fatale nei confronti della parola. Quindi ogni volta che ascolto musica non riesco a prescindere dalle parole, siano esse in italiano o in una lingua a me sconosciuta.

Di conseguenza il mio ascolto non è mai rilassato, c’è sempre quel grado di tensione dovuto alla concentrazione del pensiero che non mi permette magari di abbandonarmi al puro suono. Ovviamente la stessa cosa non accade in assenza di testo.

Se si pensa a questo punto che sono un cultore della classica ci si sbaglia. Mi piace, senza dubbio. Ma mi emoziona tanto che neppure lei è capace di rilassarmi.

L’unica musica che mi rilassa è quella orientale, stile centro Yoga, ma dopotutto è ovvio: è stata pensata proprio per rilassare.

Per il discorso sulla concentrazione invece non credo che esista musica capace di aiutarmi. La concentrazione vera la riesco a raggiungere solo con il silenzio.

Forse è una deformazione professionale, non lo so. In quanto attore sono sempre attento a ciò che mi succede attorno, sono sempre teso a cogliere i cambiamenti per poter reagire in tempo, qualunque cosa possa succedere in scena, dal pezzo di scenografia che cade (per fortuna non mi è capitato spesso!) al collega che sbaglia o addirittura si scorda il testo (questo mi è successo milioni di volte!).

Se dovessi mettere della musica una parte della mia testa sarebbe sempre in ascolto, impedendo quindi la vera concentrazione.

Dimmi qualcosa a proposito dei Reading su personaggi dello spettacolo che hai portato in scena con musiche dal vivo.

L’Associazione Mnemosyne di Monza, diretta dall’appassionato storico Ettore Radice, si occupa di diffondere la conoscenza della Memoria non solo in termini di Storia del Paese ma anche di Storia del Costume e della Società.

Per cui le loro iniziative si alternano tra una rievocazione del Terrorismo anni 70 italiano alla presentazione della vita privata di Giacomo Puccini e di sua moglie Elvira, dalla storia di Fausto Coppi e Giulia Occhini fino alla turbolenta vicenda di Napoleone Bonaparte.

La formula di presentazione è quella del reading, con due voci e uno strumento musicale. Interessante in questo caso il fatto che la musica non funge da accompagnamento, ma viene presentata come una voce diversa e indipendente.

I brani selezionati sono in sintonia con l’ambiente e la vicenda presentati, ma vengono suonati per intero e senza contaminazioni vocali (a parte i casi in cui il brano viene dall’Opera). Quindi forse la definizione migliore è quella di reading-concerti.

Alessandro Baito, a est dell'Eden
Bowie è stato capace di attraversare più generazioni, dai primi anni 60 fino al terzo millennio, senza mai soffrire di un calo di popolarità (Foto © Lu Magarò)

Trovo in biografia riferimenti a Bowie. Lo spettacolo multimediale su di lui com’è nato?

Pochi giorni dopo la scomparsa di David Bowie c’è stato alle Colonne di San Lorenzo un flash mob per salutare l’artista che è stato capace di attraversare più generazioni senza mai soffrire di un calo di popolarità, dai primi anni 60 fino al Terzo Millennio.

In quell’occasione, seguendo mio moglie Valentina che è sempre stata una sua fan, abbiamo incontrato diversi amici artisti, scoprendo davvero che oltre all’interesse per l’Arte (devo ricordare che mia moglie è pittrice e al tempo, nel 2016, anche gallerista) c’era la passione per Bowie e la sua musica.

Chiacchierando è nata l’idea di fare uno spettacolo che andasse oltre quelle realtà già esistenti e fatte principalmente da Tribute Band che interpretavano o reinterpretavano la sua musica.

L’intenzione era quella di dimostrare la trasversalità dell’esperienza di Bowie, di come la sua musica possa vivere indipendentemente in ogni arte.

Eravamo due pittori e scenografi, un attore e un regista cinematografico, ciascuno con buone conoscenze nel mondo musicale e della danza. Il passo è stato breve.

Il regista Giorgio Magarò ha ideato uno spettacolo fatto di alternanza di Arti in scena e ciascuno ha fatto la sua proposta interpretativa. In effetti la regia è stata più dell’insieme che nelle singole performance, volendo lui, in accordo con noi, sottolineare gli aspetti più personali del sentire di ciascuno.

So che lavori spesso per i bambini. Hai qualche aneddoto a proposito?

Lavorare con i bambini oggi non è facile. Bisogna però distinguere l’attività didattica da quella ludica. Conosco entrambe le realtà grazie alla doppia professione di insegnante e attore.

La parte più difficile è quella didattica, premettendo che non si parla qui di lezione frontale con noiosa spiegazione di grammatiche e logiche.

C’è un confine mobile tra i 10 e i 12 anni in cui avviene un cambiamento (qualcuno lo chiama pubertà, credo) e i bambini davvero si trasformano. Ma da una parte e dall’altra per noi operatori ci sono problemi.

Prima di quel confine i bambini sono partecipativi e comunicativi. Vogliono sempre dire la loro, a volte dando l’impressione che vogliono dimostrare qualcosa, anche quando poi non sanno le cose che vorrebbero dimostrare di sapere.

Dopo quel confine invece ogni interesse svanisce assorbito dall’unico interesse del riconoscimento del gruppo: pensano ai fatti loro e tu ti puoi sbracciare, fare capriole o interpretare a memoria un monologo di Otello che tutto quello che si ottiene è un fugace sguardo condiscendente.

Il discorso è generale, non tutti i ragazzi sono così, ma la media propende verso questa mia classificazione.

Nell’attività ludica il confine continua ad esistere. Prima dei 10-12 anni sono tutta energia e volontà di emergere, dopo diventano più pigri e tendono a creare gruppetti più intenti a confrontarsi sulle loro problematiche personali che al gioco proposto.

Il gioco non è un obbligo quindi si può evitare!

Per quanto riguarda invece il teatro il discorso è più semplice, dando per scontato che lo spettacolo che si sta facendo piaccia al pubblico garantendoci così la loro attenzione, perché se non piace la battaglia è persa sin dall’inizio.

Gli aneddoti più divertenti riguardano la sostanziale indisciplina dei bambini, che paiono quasi tutti cresciuti in una scuola Montessori allargata, in cui in nome dell’espressività personale tutto è permesso (non me ne vogliano i montessoriani, perché lo so che nelle loro scuole ci sono regole, eccome!).

Quindi: la bambina che durante uno spettacolo natalizio, in cui tu sei mascherato da renna, arriva in scena e si piazza davanti a te fissandoti negli occhi con uno sguardo lucido, affascinato, quasi innamorato.

Tu cosa fai? La sgridi e le dici di tornare al suo posto, perché le convenzioni teatrali impongono al pubblico, a meno che non gli venga richiesto altrimenti, di stare al suo posto? Non puoi. La coinvolgi, arrampicandoti sugli specchi per giustificare la sua presenza in scena.

E il bambino impertinente che ti fa notare che il telefono che stai usando è finto o che quello che stai dicendo non può essere vero perché le fate non esistono, oppure comincia a chiederti spiegazioni perché non ha capito bene un risvolto della storia e tu hai solo voglia di dirgli in faccia: “Piccoletto, se hai un attimo di pazienza ti dico tutto quello che vuoi sapere.

Ma se tu continui a interrompermi non arrivo più a quel punto del testo. Quindi taci e ascolta”?? Hai voglia di dire così, ma non puoi. E allora giochi tra l’indifferenza e risposte vaghe, sperando di trovare un equilibrio tra l’educazione e il dimostrare che non si possono fare troppe domande.

Sì, perché se poi si fa capire che è lecito fare domande c’è tutto uno stuolo di bambini più timidi che si reputano giustificati e cominciano a piovere domande e osservazioni. E tu ti ritrovi in una sessione di brainstorming sull’Ontologia teatrale.

Con tua moglie hai un’associazione che si occupa di trasmettere la passione dell’arte ai piccoli. La vedi come una missione? L’associazione porta il nome di Eden, che è anche il nome di tuo figlio. Speri che lui continui a praticare da grande il vostro percorso?

Forse se non si ha una missione non si può vivere sereni. C’è chi ha la missione di fare soldi, chi quella di avere successo e di essere riconosciuto come “superiore” dagli altri. Ognuno coniuga il termine come gli pare o come crede che debba essere il senso della vita.

In realtà esiste per noi una sola missione, degna di essere chiamata tale. Comunicare, in ogni senso: mettere insieme le persone per confrontarsi e crescere insieme. In questi termini forse la missione più nobile è quella di trasmettere alle nuove generazioni il senso di ciò che è avvenuto prima di loro, perché possano crescere e in questo modo far crescere il mondo che hanno intorno.

Il migliore modo per comprendere parte dalla conoscenza di sé e uno dei canali privilegiati per arrivare a questo è l’Arte in tutte le sue forme.

La nostra Associazione include il nome Eden perché la nostra utopia è un mondo armonico in cui tutti possono esprimersi secondo le proprie passioni e le proprie inclinazioni.

Nostro figlio si chiama Eden perché crediamo che la famiglia sia il punto di partenza per la creazione di un mondo felice. Poi però speriamo anche, con riferimento al Giardino dell’Eden, che il frutto che noi abbiamo piantato possa crescere in grandezza e luce fino ad essere davvero nel Mondo, modellandolo in qualcosa di migliore.

Io personalmente non spero che continui la nostra strada. Mi auguro anzi che se ne inventi una nuova, alla quale io non sono nemmeno capace di pensare, un’autostrada ma anche un sentiero andrebbe bene, lungo il quale camminare sereno verso la realizzazione di sé.

Magari potrebbe partire da dove siamo arrivati noi, da dove speriamo di essere riusciti a comunicargli il senso e il valore delle cose e delle persone.

Alessandro Baito
Con Antigone, in scena con Laura Negretti, abbiamo avuto una menzione speciale al premio Fersen nel 2007 e la proponiamo ancora il 4 settembre a Como (Foto © Valentina Anna Carrera)

Ho avuto l’impressione che tu preferisca lavorare sul palco da solo o in duo…è così? Gli spettacoli con musica a cui sei più legato?

La tua impressione è giusta. Magari da solo no, perché la mia congenita timidezza mi fa sentire un po’ a disagio, ma in duo senz’altro sì. Non importa se poi sono affiancato da un’attrice, un attore o uno strumento, mi basta avere compagnia.

La cosa importante è il dialogo uno-uno. Il dialogo uno-molti, quello del monologante con il suo pubblico, è spesso falsato e difficilmente può garantire una comunicazione efficace. Non potendoci confrontare con la singola emozione della singola persona spesso tutto si risolve in una celebrazione solipsistica.

Senz’altro lo spettacolo che più mi emoziona ogni volta che ho occasione di farlo è  “Il violino della Shoah” in cui la mia voce narrante presenta la storia di Eva Maria Levy, un’ebrea deportata in un campo di concentramento nazista che è riuscita a sopravvivere in un primo periodo grazia alle sue doti di violinista, finché lo strumento non si è rotto privandola di quei (pochi) privilegi che gli artisti potevano garantirsi nei lager.

Le corde del violino originale di Eva, recuperato grazie al fratello sopravvissuto, vengono accarezzate dall’archetto di Alessandra Sonia Romano, che in dialogo con me, il violino, perché la voce narrante è proprio quella del violino, presenta tutta la tragedia della perdita dell’innocenza.

Di una giovane donna, di una società tutta, di un semplice strumento musicale.

Un altro spettacolo a cui sono molto affezionato è “La memoria dei giusti – semi di luce nel deserto della notte, un testo che ho elaborato traendo ispirazione dall’encomiabile lavoro di Gabriele Nissim e della sua Associazione, Gariwo, quella del Giardino dei Giusti di Milano per intenderci, dove si piantano alberi in onore di tutti quelli che si sono opposti alle ingiustizie pagando spesso con la propria vita a conseguenza della loro ribellione.

Parte tutto dalla Shoah ma in un lungo viaggio attraverso la storia passando dal Ruanda fino a Khaled al-Asaad, martire per salvare Palmira, i giusti hanno dimostrato che il Bene esiste, sopravvive e spesso è più forte del male.

Abbiamo avuto la fortuna di conoscere Nissim, che oltre ad aver apprezzato il progetto Bereshit sulla cultura ebraica, che da undici anni tra mostre e reading mi vede protagonista con le opere di mia moglie in diverse realtà del territorio nazionale, è stato molto felice di vedere raccontate alcune storie di giusti nel mondo.

Sei nel gruppo che si occupa della comunicazione della Biennale d’arte che si sta facendo per la prima volta in Valcamonica. E fai parte della nuova rivista INDEX. Di cosa parlerai nel numero in uscita?

Sono stato chiamato da Virgilio Patarini della Biennale perché mi conosce ormai da anni, sapendo perfettamente quanta importanza ha per me la comunicazione, non solo verbale in quanto attore e insegnante, ma anche iconica, fatta di immagini e materia.

Mi ha dato completa libertà di esprimermi intorno al tema “Arcaico Contemporaneo” e ho cominciato a fare le mie considerazioni. Tenendo presente della quantità di artisti presenti nel suo entourage ho pensato di fare qualcosa di leggermente fuori dal coro e di parlare quindi di letteratura.

Parlerò del Romanzo Storico, soprattutto in relazione al successo che in questi ultimi anni sta avendo questo genere, sintomo evidente di una necessità generalizzata di capire quali sono le radici che definiscono la nostra esistenza.

Di fronte a tutte le forme di globalizzazione, non ultima quella del pensiero univoco, è naturale che si cerchi la propria individualità ed è logico che lo si faccia sul proprio territorio e guardando ai nostri antenati.

Prossimi spettacoli?

Ironicamente il prossimo spettacolo, la cui idea è nata nello stesso periodo della rivista INDEX, tratterà di un Arcaico Contemporaneo.

Dalla compagnia teatrale per la quale lavoro, Teatro in Mostra di Como diretto da Laura Negretti, sono stato chiamato per elaborare un testo in occasione dei 700 anni dalla morte di Dante.

Il testo è un viaggio nella sua produzione letteraria, poetica e non, ponendo l’accento sul tema della “follia”, intesa come peccato, inteso come allontanamento da ciò che è giusto, che poi equivale all’allontanamento da Dio.

Il titolo è “Uomini siate e non pecore matte” e debutterà a Colico a metà settembre. È la passeggiata di una persona (nel testo volutamente rimane equivoca la sua definizione sessuale) da Ponte Vecchio fino alla Cattedrale di Firenze.

Un viaggio da sud a nord verso la luce, un viaggio costellato dagli incontri reali delle persone che incontra e dalla rievocazione di passaggi danteschi. Un Dante Contemporaneo che grazie alla conoscenza del dolore e della fede (comunque si concepiscano questi due termini) ritrova la speranza.

Grazie, Alessandro. A presto!

Altre info le potete trovare qui: https://www.facebook.com/SpazioEden/

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Sergio Scorzillo
Sergio Scorzillo
Autore, attore, regista, formatore. Teatro e Musica sono state da sempre le sue grandi passioni e non solo. Il palcoscenico è il luogo in cui riesco a vincere le mie fragilità, a comunicare e a sentirmi utile e vivo
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