Ho da sempre apprezzato, nei film, il commento musicale, la colonna sonora, considerandoli alla pari del lavoro attoriale e registico
Mauro Toscanelli è attore, autore, regista teatrale e insegnante di Dizione e Tecniche di Narrazione.
Dopo aver studiato Recitazione e Dizione con l’attrice Masaria Colucci e Drammaturgia Contemporanea con Dacia Maraini, presso il “Centro Internazionale Alberto Moravia”, ha perfezionando poi la sua formazione presso il “Centro Grotowski”.
Ha collaborato con il “Centro Studi Enrico Maria Salerno”, e con personalità quali Giancarlo Sepe, Giuseppe Patroni Griffi, Roberto Bencivenga, Elena Sbardella, Mamadou Dioume, Alessandra Fallucchi, Silvio Romano, Francesca Bartellini, Danny Lemmo, affrontando sia il repertorio classico (Ovidio, Shakespeare, Molière) che contemporaneo (Calvino, Pirandello, Beckett, Ionesco).
La sua costante ricerca è volta a coniugare i princìpi fondamentali del Teatro di Parola con quelli del Teatro Sperimentale (E. Barba, P.Brook, J. Grotowski).
Nel 2020 è stato pubblicato il suo primo romanzo “Requiem per tre frammenti”.
Recentemente ha vinto come migliore attore alla rassegna romana “Idee nello spazio” con lo spettacolo “Occhio al cuore”, di Emiliano Metalli, messo in scena con l’attore Bruno Petrosino.
Mi racconti il rapporto che hai con la musica in generale?
In famiglia l’interesse e la sensibilità per la musica erano di casa. Da piccolo ricordo che la radio era sempre accesa, in ascolto sui programmi di Arbore e Boncompagni o sulle classifiche di Luttazzi.
Considerando che geneticamente sono nato con la passione per teatro, danza e canto, questa atmosfera familiare non faceva altro che alimentare queste attitudini naturali.
Con l’adolescenza i miei gusti si rivolgono alla musica elettronica, al cantautorato italiano e alla conferma sul gradimento di certa musica “domestica” (Mia Martini, Beatles, Patty Pravo, Lucio Battisti, Mina e Led Zeppelin).
In quegli anni poi si faceva strada la discomusic internazionale che mi folgorò con i suoi memorabili interpreti, in primis Donna Summer, Giorgio Moroder, The Ritchie Family…
Musica a teatro: Mauro Toscanelli
Diventato adulto ho ampliato i miei interessi musicali e ora spazio dalla etnica alla classica in particolare prediligendo il barocco e il “belcanto” italiano.
Di solito sono le voci virtuose che mi coinvolgono (Giuni Russo, Antonella Ruggiero, Yma Sumac) nonché qualsiasi musicista o interprete che abbia attitudine alla sperimentazione, all’esplorazione di territori musicali sconosciuti.
Dedico almeno un’ora della mia giornata ad ascoltare musica di tutti i generi anche e soprattutto di artisti sconosciuti. L’unico genere musicale a cui sono tuttora refrattario è l’heavy metal.
Il Rapporto con la musica sul lavoro?
Ho da sempre apprezzato, nei film, il commento musicale, la colonna sonora, considerandoli alla pari del lavoro attoriale e registico; se quest’ultimo è fatto di corporeità, progettualità razionale e
concreta nel raccontare la parola e gli stati d’animo, la musica, per contro, fa tutto questo in modo immateriale, impalpabile. Allo stesso identico livello.
Non ho mai considerato la musica in teatro o al cinema come un semplice commento “a latere”, residuale, secondario rispetto alla storia raccontata, ma come parte integrante di essa.
Mauro Toscanelli: la musica ha una capacità evocativa molto potente
Tanto è vero che in casa ho centinaia di dischi e cd di colonne sonore di autori anche sconosciuti che hanno lasciato un’impronta nel mio animo talvolta superiore alla qualità della storia raccontata.
La musica ha una capacità evocativa molto potente per me e rappresenta nel mio lavoro un’imprescindibile fonte di ispirazione emotiva e/o di lavoro sul personaggio.
Quando dirigo sottopongo gli attori, prima delle prove, ad un breve training fisico che contempla l’ascolto di brani musicali da me selezionati, in modo da predisporli al successivo lavoro sul testo.
Ho avuto poi la fortuna di lavorare e studiare con maestri del calibro di Giancarlo Sepe che hanno saputo ancor di più indirizzare e canalizzare questa mia attitudine mettendola al servizio della mia professione. Nel corso degli ultimi anni, molti colleghi utilizzano la musica nei loro allestimenti teatrali e li apprezzo per il tipo di lavoro che, a seconda della loro cifra stilistica, eseguono sugli attori.
Non riesco a concepire l’utilizzo della musica in teatro come semplice siparietto di apertura e chiusura degli spettacoli. Agli inizi della mia carriera recitai in uno spettacolo che si apriva e chiudeva con lo stesso pezzo di Mozart, solo perché la regista amava questo compositore, senza che vi fosse un nesso filologico con il testo e il contenuto della rappresentazione.
Talvolta è meglio un più dignitoso silenzio sul palco.
Usi musica originale nei tuoi spettacoli?
Normalmente no, e, anche come attore, mi è capitato raramente di lavorare in allestimenti con musica scritta ad hoc. Il motivo è essenzialmente di budget poiché un compositore reclutato per creare la musica che andrà ad interagire con gli attori, costa di più rispetto all’utilizzo di musica già edita.
È naturale che preferirei lavorare con un compositore, in quanto le sue creazioni sono ideate e progettate proprio per il lavoro che intendo realizzare. È come se fosse un abito su misura, rispetto a quello comprato in un grande magazzino. Senza dubbio la colonna sonora originale aderisce in modo perfetto e più funzionale alla storia raccontata.
Gli autori che prediligo in quest’ambito sono Arvo Part, Eleni Karaindrou, Peer Raben oltre a decine e decine di altri che seleziono continuamente.
Secondo te il pubblico apprezza la musica a teatro?
Dal punto di vista dello spettatore, ritengo che costui rimanga affascinato dalla presenza della musica in scena e che non lo distragga, a meno che la musica prevarichi sulla parola e sulla presenza scenica degli attori, ma quando si fa un lavoro minuzioso di regia sulla taratura e il “dosaggio” di tutti gli ingredienti presenti sul palco, comprese le luci e le scenografie, nulla può prevalere o nauseare lo spettatore, proprio perché la musica è ugualmente protagonista insieme agli altri elementi scenici.
Invece dal punto di vista degli attori?
La mia esperienza mi ha insegnato che l’inserimento della musica nel lavoro, li ha sempre aiutati nel reperimento delle proprie emozioni da trasfondere sul personaggio. Nessuno degli attori con cui ho lavorato si è sentito distratto o addirittura infastidito dalla musica. Grazie al suo immenso potere.
L’importanza drammaturgica della musica è interessante poi nel momento in cui, quando si eseguono delle improvvisazioni propedeutiche alla messa in scena e alle prove di uno spettacolo, si esplora attraverso il proprio corpo la direzione da intraprendere nello studio di un personaggio: si può sperimentare la direzione conforme al mood musicale oppure andare in contrasto ad esso e questo continuo lavorio di sperimentazione ed esplorazione di sé stessi è illuminante.
Che ne pensi dell’utilizzo di musicisti dal vivo? Hai esperienze in merito?
Ci stavo arrivando. A dimostrazione di quanto finora espresso posso aggiungere che, a causa della pandemia sono saltati otto spettacoli in cui ero coinvolto in qualità di regista e/o attore e in tutti vi era un utilizzo significativo della musica in scena.
In alcuni di essi è prevista anche la presenza in scena di musicisti dal vivo poiché il racconto musicale eseguito dal vivo si attaglia maggiormente ad un certo tipo di narrativa teatrale e lo considero più funzionale, nonché più suggestivo.
Mauro Toscanelli, il sogno nel cassetto
In futuro ho un sogno nel cassetto: realizzare un allestimento teatrale che abbia come tema la biografia artistica di un interprete maschile o femminile di cui conosco perfettamente la storia e che preveda musicisti dal vivo che mi accompagnino nell’esecuzione di alcuni brani della sua discografia.
È un progetto di per sé semplice nella sua struttura, ma complesso nella sua realizzazione pratica anche perché prevede la mia rieducazione alla disciplina del canto.
Come vuoi terminare questo nostro incontro?
Con un augurio. Mi auguro, a nome di tutta la categoria cui appartengo, di tornare presto a raccontare storie dal vivo e ad esercitare il nostro lavoro poiché, oltre al disagio economico che siamo costretti a subire, le bocche cucite, i corpi immobili e le menti sopite non fanno bene alla nostra anima.
Articolo a cura di Sergio Scorzillo