Il documentario “Nat King Cole: Afraid of The Dark” in onda su Rai5 martedì 5 dicembre alle 22.40 per la trasmissione “Ghiaccio Bollente”.
La musica ha il potere di unire i popoli. Il jazz, una parola che ai più sembra avere la puzza sotto il naso, è stato il punto di partenza di tutta la musica mondiale, perché ha unito tradizioni europee e africane in un mondo nuovo, da scoprire: l’America. All’inizio del Novecento gli Stati Uniti erano la terra dove cercare fortuna, dove arrivavano i più coraggiosi sperando di svoltare la propria vita. In questo melting pot è nato il jazz, nell’umiltà dell’aggregazione tra culture, dove il minimo comune denominatore era la ghettizzazione degli stranieri.
Quando ti chiami Nathaniel Adams Coles, e nasci in Alabama nel 1919, nessuno ti dirà che diventerai Nat King Cole, ma sicuramente partirai in salita a causa del colore della tua pelle. La mano del destino è presente da subito, quando la famiglia si trasferisce a Chicago, una delle patrie del jazz. I genitori di Nat sono devoti alla religione, il signor Coles è ministro della chiesa Battista, mentre la madre è organista, il ché permette a Nathaniel di avvicinarsi alla musica, in particolare alla classica, al gospel e allo studio del jazz. Vivere in un sobborgo come Bronzeville ha permesso al piccolo di percepire tutta l’atmosfera jazz che circondava Chicago negli anni ’20, periodo nel quale egli scappava di nascosto per andare a sentire fuori dai locali musicisti del calibro Louis Armstrong. Sarà l’ispirazione a Earl “Fatha” Hines a fargli iniziare una carriera, a metà degli anni ’30, con il nome di Nat Cole.
Tutta la sua storia verrà raccontata su Rai5, in onda martedì 5 dicembre alle 22.40 per “Ghiaccio Bollente”, dove verrà trasmesso il documentario “Nat King Cole: Afraid of The Dark”. In quest’opera il regista Jon Brewer ripercorre l’apparente storia di Nat King Cole, unica stella nera di Hollywood nell’America della segregazione e del pregiudizio razziale.
Il suo stupefacente talento vocale sembrò spazzare via i pregiudizi e gli consentì di diventare una delle più celebrate icone jazz di tutti i tempi. Il racconto prova a ricostruire i veri sentimenti dell’artista che tutti consideravano faro di speranza per gli oppressi, e documenta come in realtà, a porte chiuse, coloro che erano intorno a Cole cercarono di confezionare un’immagine del cantante rendendolo ciò che non era: bianco.
Attraverso i diari privati di Cole, materiali d’archivio mai visti, contributi della vedova di Cole, Maria, di altri membri della sua famiglia e di famosi artisti del periodo – tra cui Tony Bennett, Harry Belafonte, Nancy Wilson, Sir Bruce Forsyth e molti altri – vengono alla luce storie inedite sull’artista, inserite nella situazione politica e sociale dell’epoca.