La musica è un tocco di colore tra una scena e l’altra
Trent’anni, o quasi, di dedizione smisurata alla “professione regista” per Mario Maellaro. Una carriera costellata di successi televisivi caratterizzati soprattutto da una passione sconfinata per la regia e un cuore strabordante di amore per i dettagli. Un debutto il suo che lo ha visto impegnato nel lontano 1992 in eventi legati al mondo dell’editoria, della moda e dello spettacolo.
Solo pochi anni dopo Maellaro firma alcuni dei più interessanti programmi televisivi messi in onda su Rai, Mediaset, La7, Discovery e molti altri canali monotematici. “Il boss delle pizze”, “Mi manda Rai tre”, “Chef in campo”, “Ciao Darwin”, “Avanti un altro” sono solo alcuni delle trasmissioni che devono parte del loro successo alla sua magistrale regia.
Non solo programmi tv, ma anche concerti di musica classica e docufilm di spessore tra i prodotti del director e filmaker. La passione per il montaggio, gli inizi come director e l’importanza della musica nelle sue creazioni li racconta Mario Maellaro nella seguente intervista.
Mario ci racconti il tuo senso della musica?
Sono un regista atipico, lavoro sia in campo televisivo che cinematografico. In particolare negli ultimi anni per la Rai ho creato soggetti cinematografici da portare sul piccolo schermo. Naturalmente parlo di ripresa, di movimenti di macchina, di ottica.
Nel cinema la musica è fondamentale per qualsiasi tipo di inquadratura, quindi ogni suono deve in qualche modo fare riferimento alla scena che lo spettatore sta guardando. La musica dà un certo spessore al momento, una particolare scena senza il supporto della musica sarebbe senza dubbio piatta.
In campo televisivo invece cosa cambia rispetto al cinema?
La televisione rispetto alla cinematografia risulta un po’ diversa. La Tv è intuizione e velocità, quindi la musica resta un po’ in secondo piano. Siamo in un momento di svolta, infatti osservando i nuovi docufilm e le serie tv che oggi vanno in onda sulle piattaforme Netflix o Amazon è possibile rendersi conto che contengono circa il 60-70% di musica.
Per quanto riguarda invece le trasmissioni di intrattenimento, penso a “Ciao Darwin” oppure a “Avanti un altro” di cui curo la regia delle Tlp, la musica è quel timbro scenico che arriva all’improvviso.
Hai curato la messa in onda anche di alcuni importanti concerti di musica classica. In quel caso come cambia il ruolo del regista?
Per quanto poi riguarda i miei prodotti, la musica diventa ovviamente preminente in un concerto di musica classica. In questo caso il primo regista è il direttore dell’orchestra. Noi dobbiamo stare sulla musica con le immagini, seguendo attentamente i passaggi attraverso gli strumenti.
In questo caso siamo in presenza di una doppia regia: il direttore d’orchestra è il regista musicale e il regista invece decide cosa riprendere nei vari frame e cosa aggiungere in fase di montaggio. In questi casi è necessaria una valutazione di priorità, non sempre è possibile scegliere la bellezza delle immagini, perché in primo piano c’è sempre e solo la musica.
Come nasce una scena nella testa di un regista?
Il punto di partenza è sempre l’idea. Visualizzare la scena e l’impatto da ottenere aiuta molto, naturalmente quando lavoro devo sempre collaborare con il compositore di riferimento per ottenere un risultato efficace. Il compositore, come del resto altre figure tecniche, assumono quindi un’importanza pari a quella del regista.
In certi casi la musica assume un’importanza di primo piano, alcuni film o documentari riusciamo infatti a riconoscerli ascoltandone solo la musica senza nemmeno vedere la scena. Se penso per esempio alle colonne sonore di Ennio Morricone è evidente come l’elemento musicale sia chiaramente fondamentale.
Preferisci usare musica che già conosci o farla comporre ex novo?
Tendenzialmente è preferibile far comporre e realizzare magari un sound like: un brano molto simile ad una canzone famosa per esempio. La maggior parte delle volte però si fanno comporre musiche nuove e in quel caso quindi la colonna sonora crea un focus sul progetto. Naturalmente la metodologia di lavoro si basa anche sui tempi e sul budget.
Tempi stretti e budget esiguo richiedono l’utilizzo di brani in library, mentre al contrario è possibile far comporre ex novo. Io sono un romantico per natura, quindi la musica elettronica non rispecchia proprio il mio genere. Preferisco un sound più morbido e leggero: dal contemporaneo al thriller spinto… in base alla situazione.
Hai un sogno nel cassetto?
In realtà ne ho due sogni nel cassetto: il primo è fare la regia ad un importante concerto all’Arena di Verona. Il secondo sogno è il Festival di Sanremo, prima o poi quel palco sarà mio.
In questo periodo ho terminato due docufilm per la Rai già disponibili su Raiplay, ho iniziato da pochissimo a registrare per Mediaset “Avanti un altro” con Paolo Bonolis e Luca Laurenti, in particolare mi occupo delle telepromozioni che risultano essere delle micro-fiction.
Sto preparando inoltre un nuovo docufilm per la Rai sullo sport e a breve partirò con la seconda edizione di “Chef in campo” su Sport Italia. In programma anche la messa in onda su rete 4 di una trasmissione che racconta la tradizione popolare del nostro Paese.
Un consiglio a chi desidera avvicinarsi al mondo della regia?
Io ho iniziato lavorando sul campo. Lo studio secondo me è importante, ma poter lavorare insieme a professionisti del settore è di gran lunga più efficace per l’apprendimento.
Il nostro lavoro deve essere fatto con cuore e passione, senza orologio in mano, e partendo dalle mansioni più umili.
Articolo a cura di Veronica Ruggiero