Quattro chiacchiere con Paola Gallo, giornalista professionista nonché esperta conoscitrice e grande appassionata di musica
Voce e penna della musica, questo e molto altro ancora è Paola Gallo, il giusto compromesso tra passione e preparazione. Giornalista professionista, dopo aver lavorato per quasi vent’anni a Radio Italia, attualmente è direttore artistico e responsabile editoriale dell’emittente radiofonica InBlu2000, del gruppo Avvenire-Tv2000, oltre che ideatrice del blog OndeFunky.com. In un mondo professionale sempre meno popolato da buoni maestri, il suo resta un bell’esempio di onestà, competenza e umanità. Abbiamo il piacere di approfondire la sua storia professionale, ospitandola in questo tredicesimo appuntamento della rubrica “Protagonisti in secondo piano“.
Come ti sei avvicinata alla musica?
«Sin da piccolissima mi sono resa conto che la musica era per me una compagnia fondamentale. Non esiterei a definirla una dipendenza, una passione nata nei miei primi anni di vita, ma coltivata nel tempo. Crescendo è sempre rimasta un rifugio. Alle medie e al liceo, gli unici soldi che spendevo erano per i libri e per i dischi. Leggevo “Ciao 2001”, aspettavo le uscite, attraversando varie fasi, tipo c’è stato un periodo in cui rifiutavo la musica italiana, anche se fa ridere a dirlo considerando la mia successiva carriera.
Fai conto che i Pooh li ho conosciuti, sia musicalmente che personalmente, a Radio Italia. Era la mia prima intervista, ricordo che avevo scritto sulla mano i loro nomi per riconoscerli, perchè avevo paura di sbagliare (sorride, ndr). Poi ho recuperato, studiato e ascoltato. La mia forma di difesa è sempre stata l’approfondimento. Anche adesso, quando devo intervistare qualcuno ascolto sempre il disco, consapevole del fatto che non lo fa quasi più nessuno».
Com’è avvenuto, invece, l’approccio professionale con la musica?
«Molto semplicemente, avevo un caro amico che lavorava in una radio privata della provincia di Milano. Ho cominciato accompagnandolo, facendogli un elenco di canzoni che, secondo me, doveva mettere in onda. Queste mie prime playlist piacquero ai gestori della radio, così mi chiesero se volessi condurre anche io una trasmissione. E’ iniziata così, da questa mia grande passione. Tutto questo è diventata una vera e propria professione a Radio Italia, dove ho fatto il praticantato, diventando la prima giornalista professionista dell’emittente».
Nella tua biografia mi ha colpito la definizione: “sono nativa analogica ma ragiono digitale”. Quanto è cambiato il mondo della musica rispetto ai tuoi esordi?
«Secondo me non è cambiata la musica, è cambiato il modo di fruire la musica. Io sono nata analogica, i cinquant’anni li ho passati già da un po’, ma la curiosità che avevo quando c’erano i vinili è la stessa che riverso oggi nella musica liquida. Non sono mai prevenuta, penso che ci sia del buono sempre. E’ evidente che l’attuale velocità con cui si consumiamo le cose toglie del tempo all’approfondimento. Ciononostante, dal mio punto di vista, la musica e gli artisti non sono poi cambiati così tanto».
Un tuo pregio è sicuramente la correttezza, unita alla cordialità, altrimenti non si spiegherebbero l’empatia, la fiducia e talvolta anche l’amicizia che hanno riposto in te artisti e addetti ai lavori. In che modo riesci a scindere il lavoro dalla vita, le notizie dalle confidenze personali?
«Mi capita a volte di avere delle notizie in anteprima, che sono in realtà delle confidenze personali, proprio per questo non le svelerei neanche in punto di morte. Come spesso vedo fare sui social, in modo troppo pedante per i miei gusti. Il dover mostrare a tutti i costi che hai rapporti lo ritengo molto stancante, anche per chi lo fa. Quello che fa la differenza, secondo me, è saper guardare le persone davvero, per quello che sono realmente, questo credo si percepisca. Bisogna andare oltre al personaggio, saper guardare dentro, una dote a metà tra il giornalismo e la psicologia».
Esaltare la bellezza è un dono, una scelta controcorrente se consideriamo l’andazzo odierno, dove è molto più semplice asfaltare che dare risalto. Come spieghi questa tendenza a criticare chi tende a parlare bene e a valorizzare una determinata cosa, piuttosto che indignarsi davanti a chi parla ripetutamente male e tende a distruggere quella stessa cosa?
«Parto da una premessa, con Radio Italia ho lavorato per tanti anni in un vero e proprio salotto, dal quale passavano moltissimi artisti. E’ evidente che non tutti potevano piacermi, ma ho sempre cercato di trovare il lato positivo nei progetti delle persone che si sedevano accanto a me. Diciamo pure che per natura sono una persona educata, curiosa, pronta a rivalutare anche le mie idee. Mi da fastidio chi fa della critica una professione, chi deve a tutti i costi andare contro solo per fare numeri.
Chi urla si fa notare, ma sul lungo termine dura poco, mentre il buon professionista dura tanto. Io ne sono un esempio, perchè comunque ho creato un blog personale che riesce ad intercettare l’interesse di molte persone. In più, ho la possibilità di intervistare determinati artisti o di avere accesso a determinate situazioni che altre testate altrettanto piccole non hanno. Questo dimostra che se lavori bene, alla fine hai più durata di chi ha bisogno di sputare veleno per farsi notare».
Qual è l’aspetto che più ti affascina nel raccontare storie?
«Le storie stesse, i colori che hanno, le persone che rappresentano. Altrimenti cosa racconti?».
Semplice… parli di te stesso…
«Che palle però! Nel senso che… se non sai ascoltare e ti metti sempre in primo piano, secondo me, questo lavoro non lo fai bene».
Tra le storie che non avresti mai voluto raccontare, immagino ci sia questa maledetta pandemia. Che ruolo sta ricoprendo l’informazione?
«Credo che questa pandemia abbia solo evidenziato delle carenze strutturali che in Italia ci sono da tanto tempo, le stesse che la velocità e il benessere avevano messo in secondo piano. Una delle note dolenti, secondo me, è proprio la nostra professione, perchè non ha più la possibilità di essere esercitata e considerata come un tempo. Il giornalista dovrebbe essere la spina nel fianco del potere, in verità, se sei sottopagato, non tutelato e il tuo direttore ti dice: “dobbiamo fare click”, è chiaro che finisci per raccontare tutto molto male, in maniera sensazionalistica. Pandemia compresa.
Spero che questa situazione sia servita a rimettere un pochettino in ordine le priorità del nostro Paese, compreso le dinamiche che ruotano attorno al giornalismo. Che autorevolezza o libertà può avere un ragazzo che non ha un contratto e che guadagna due euro a pezzo? Chi lo tutela? Mi auguro che tutto il dolore che stiamo sopportando possa servire a qualcosa, almeno a risistemare certi aspetti che già prima non giravano nel verso giusto».
Purtroppo, nemmeno il nostro amato settore musicale se la sta passando bene, quali sono le tue principali preoccupazioni a riguardo?
«A volte ho il terrore che non ci sia l’ossigeno giusto affinché gli artisti possano creare, anche se sono certa al 100% che l’arte non possa morire. Ce lo dimostra la storia, anche nei periodi più bui sono nate opere straordinarie. Quindi, non sono più di tanto preoccupata dal punto di vista creativo, ma per tutti i lavoratori del mondo dello spettacolo che, di fatto, non hanno ricevuto alcun sostegno. Mi auguro che si cominci a considerare la musica come un’industria, al pari delle altre, ma al tempo stesso che sia considerata anche cultura, cosa che non accade spesso».
Da circa un anno le conferenze stampa e le interviste si fanno tutte in remoto, quali sono i pro e i contro?
«Dei pro è indubbio che ci siano, perchè si abbattono sia costi che tempi, ad esempio considero un gran vantaggio il non dover cercare parcheggio per l’auto o il posto per la bici. I contro, invece, sono molto più evidenti, nel senso che viene a mancare il rapporto umano, sia con i colleghi che con gli artisti. Dal vivo c’è tutto un altro impatto, vengono fuori altre cose, un po’ come il discorso dei concerti in streaming. Poi, per carità, nella vita bisogna fare anche di necessità virtù, però uno spettacolo live è un’altra cosa, così come un’intervista o una conferenza in presenza, dove uno sguardo o una battutina con un collega fa la differenza».
Anche Sanremo lo abbiamo seguito in DAD, cosa ti è piaciuto di questa ultima edizione del Festival?
«Personalmente sono soddisfatta del risultato, anche se in parte mi ha stupito, nel senso che non mi aspettavo la vittoria dei Maneskin, anche se ho trovato il loro pezzo assolutamente centrato. Sono contenta del Premio della Critica a Willie Peyote, rimango dell’idea che il suo fosse il testo più degno per questo riconoscimento. Mi spiace molto per Fulminacci e Aiello, entrambi si rifaranno e avranno modo di dimostrare chi sono. Infine, come non citare “Musica leggerissima” di Colapesce Dimartino, credo che sulla lunga distanza siano proprio loro i vincitori morali di Sanremo 2021».
Hai seguito per ben venticinque anni il Festival in presenza, essendo un habitué, ti chiedo: se dovessi spiegare ad una civiltà aliena cos’è Sanremo, quali parole utilizzeresti?
«Io l’ho sempre definita come una gita scolastica globale del giornalismo musicale, che tradotto significa: un simposio dove tutti i professionisti del settore, dai più piccoli ai più grandi, dalla carta stampata al web, passando per le radio e le televisioni, si ritrovano per un’intera settimana a dare risalto alla musica. Una meravigliosa bolla, come la vuoi definire? Ho fatto moltissime trasferte lavorative, anche per eventi diversi tra loro, come la Mostra del Cinema di Venezia o il Salone del Libro di Torino, addirittura anche alle Olimpiadi, ma da nessun’altra parte ho trovato la stessa gioia fanciullesca tipica di Sanremo».
Alla luce di tutto quello che ci siamo detti, a livello emotivo, che ruolo può avere la musica in un momento così complicato dal punto di vista sanitario, economico, politico e chi più ne ha più ne metta?
«Per me fondamentale, trovo che sia una condivisione necessaria per la nostra vita. Aver visto le frasi delle canzoni sui camici dei medici e degli infermieri, secondo me, è la traduzione di quanto la musica sappia tenerci la mano in qualsiasi momento. Ha varie funzioni, riesce a trasmetterti tanta energia, a consolarti, a rallegrarti. In questo la musica è davvero una compagnia imprescindibile».