“Mentre scrivevo, sono entrato in contatto con dei lati di me che forse c’erano sempre stati, ma che avevo sempre ignorato”. Così Peligro spiega la caratteristica più vera del suo nuovo album “Mietta sono io”.
Il nuovo disco di Peligro, “Mietta sono io”, guarda dentro l’uomo e fuori di lui, allargando lo sguardo sulla realtà che lo circonda, e lo fa con un racconto introspettivo in 10 canzoni lungo il quale il rapper milanese si è messo in discussione, superando alcuni suoi limiti.
Cos’hai capito di questo nuovo te, scrivendo questi brani?
Ho razionalizzato quello che sono sempre stato. Scrivere queste canzoni è stato come un flusso di coscienza che mi ha fatto capire chi sono nel profondo, com’è il mondo e anche qual è il rapporto che io ho con questo mondo. Vivo meglio la vita, ho aperto gli occhi: prima era come se non avessi la visione periferica.
In “La parte migliore” parli di Milano e di come ti abbia portato a una rinascita.
Questa città ha influenzato anche un altro brano, “La cosa sbagliata”. Io sono un milanese di provincia, Milano mi ha tolto i paraocchi. Milano, o più in generale il contesto urbano, hanno reso questo album quello che è.
Ci spieghi la scelta del titolo “Mietta sono io”?
Sì, c’è un gioco di parole in riferimento a Mietta, cioè Daniela Miglietta. Ma Mietta è anche il mio cognome. Essendo questo un disco introspettivo, era giusto dargli questo titolo.
Perché non hai usato il tuo nome, Andrea?
Perché di Andrea ce ne sono tanti, di Andrea Mietta no.
Cosa ti rende Mietta (o Peligro), musicalmente parlando?
Io vengo dal rap, quello è il mio linguaggio, il mio modo di comunicare. Ma questo codice del rap lo uso in un contesto pop, perché questo mi dice di fare la mia natura di comunicatore.
“Proprio come me” è un brano che, dal punto di vista delle sonorità, si discosta dal resto dell’album. Nel testo parli delle maschere che tutti portiamo, nella quotidianità. Ce ne parli?
Questo sound lo devo al produttore del disco, Marco Zangirolami, un grande professionista. Credo che tutti, nel momento in cui usciamo di casa, indossiamo delle maschere. Non ho inventato niente, lo diceva Pirandello, io ho solo contestualizzato questo pensiero immergendolo nella realtà del 2018. Penso che tutti cerchiamo di mostrare il nostro lato migliore, nascondendo qualcosa che non ci piace. Non è un brano cinico, è la verità.
Quindi questa canzone è nata dalla lettura di “Uno, nessuno e centomila” di Pirandello?
In realtà, è solo nell’ultimo periodo che cerco di leggere molto di più di quanto non facessi prima. Leggere mi dà più elasticità, utile per vedere meglio la realtà; aprire un libro risveglia meccanismi dormienti nel cervello. Non dico niente di nuovo, tutti i più grandi winner del mondo leggono tantissimo. Pensa a Bill Gates, per esempio.