Musica361 ha incontrato i due volti storici della mitica PFM, Franz Di Cioccio e Patrick Djivas, attualmente in tour con l’ultimo album, “Emotional Tattoos”.
Dopo l’addio di Franco Mussida e l’entrata di Marco Sfogli, la PFM è tornata sulle scene con la pubblicazione di Emotional Tattoos a 14 anni di distanza dall’ultimo disco di inediti. Attualmente impegnata nel tour mondiale, la band ha fatto recentemente tappa anche a Milano: abbiamo parlato con gli storici membri Franz Di Cioccio e Patrick Djivas.
Il concerto del 2 marzo al Teatro Dal Verme di Milano è diventato uno dei vostri nuovi “tatuaggi emotivi”?
Franz: «Il Dal Verme è un teatro per concerti di musica classica ma noi l’abbiamo domato (sorride)! È tanto tempo che non suonavamo a Milano ma l’affetto del pubblico è stato fantastico: abbiamo aperto con Il Regno, primo brano del nostro nuovo album, raccogliendo un fragoroso applauso spontaneo a scena aperta. Sembra che aspiri a diventare un nuovo classico della PFM, non ce lo aspettavamo».
Emotional tattoos presenta timbriche vintage da sinth e moog in stile PFM ma anche sonorità moderne. Cosa è cambiato fondamentalmente da Storia di un minuto (1971) a oggi?
Patrick: «Tutto quello che può cambiare in 46 anni di storia! Non abbiamo mai progettato il nostro sound, abbiamo sempre seguito il nostro istinto musicale senza curarci troppo del mercato. Scelta probabilmente folle da un punto di vista commerciale ma non artistico, dato che dopo circa 6000 concerti noi e i nostri fans non ci siamo ancora annoiati: il vero successo per un musicista sta nell’entusiasmo di salire sul palco ogni sera, non nel numero di dischi venduti».
Franz: «L’obbiettivo di un musicista dovrebbe essere collezionare più ore sul palco che dischi d’oro. Non siamo mai stati ispirati dal gusto della sfida discografica ma della curiosità, solo così si può scoprire sempre qualcosa di nuovo ed evolversi. Con Storia di un minuto, rompendo lo schema del formato canzone classico, abbiamo inventato un nuovo modo di fare musica che è stato in seguito definito progressive: un abito che non abbiamo volutamente deciso di indossare ma che poi non ci siamo più tolti, fino ad Emotional Tattoos».
Da dove ha avuto origine la scintilla di Emotional Tattoos?
Patrick: «Da autentici session men studiosi e appassionati di musica classica, jazz e rhythm and blues. Grazie alle nuove tecnologie abbiamo potuto lavorare molto in casa autonomamente mettendo poi le canzoni a punto in studio. Il primo brano è stato La lezione, nata da un mio inconsueto giro di basso r&b e conclusa insieme a Marco Sfogli in mezz’ora. E così è stato praticamente anche per gli altri brani».
Franz: «Solitamente lavoriamo a partire da un’idea che ci intriga ma siamo sempre attenti a non assomigliare a nessuno, neanche alla PFM. Emotional Tattoos è diverso da tutti gli altri dischi ma contemporaneo, così come lo fu Storia di un minuto o PFM in classic nel quale abbiamo immaginato di fare una jam session con Verdi o Mozart».
Nella copertina dell’album siete ritratti alla guida di un’astronave: state seguendo un percorso o siete in esplorazione?
Franz: «La nostra astronave va alla ricerca di un mondo musicalmente migliore, assolutamente contro ogni rivalità tra generi musicali: è una visione molto antica che va superata. La musica è uno dei doni della vita dell’uomo, dobbiamo rispettarla e apprezzarla in ogni sua forma. E proprio come ogni diversa forma d’arte sa toccarti lasciandoti un tatuaggio emotivo, così i nostri brani, spontaneamente composti da diversi livelli musicali, vogliono sorprendere l’ascoltatore come un viaggio in una terra sonora inesplorata. Solo così si può essere veramente progressive rispetto ad un concetto discriminante di musica che rischierebbe di essere regressive».
Patrick: «La copertina visionaria è un invito ad entrare in un nuovo mondo dalle tante sfumature nel quale scoprire qualcosa che non si conosce ancora. Un principio che vale tanto per gli ascoltatori che per i musicisti: per me studiare musica è come entrare in una stanza buia nella quale a poco a poco gli occhi si abituano all’oscurità; e quando finalmente sembra di vedere qualcosa, trovi in fondo alla stanza un’altra porta, la apri e ti ritrovi nuovamente in un’altra camera, se possibile, ancora più buia. E per fortuna: non c’è niente di peggio di un lavoro creativo fatto in maniera non creativa».
L’album è stato pubblicato anche in lingua inglese con testi differenti dalla versione italiana. Come è avvenuta la stesura nelle due lingue?
Franz: «Siamo un gruppo italiano ma molto internazionale dunque per la prima volta, per coerenza, abbiamo voluto proporre contemporaneamente nello stesso album due versioni per ogni canzone. I testi in inglese però non sono le dirette traduzioni di quelli italiani: Quartiere generale si riferisce alla storia politica del nostro paese che non può essere valida per un altro, dunque il testo è stato riadattato per altri ascoltatori. Come in We are not an island (Il Regno) ci sono riferimenti americani molto precisi scritti da Marva Jan Marrow, che aveva collaborato con noi già ai tempi di Chocolate Kings (1975)».
Patrick: «Ognuno ha avuto il suo compito, Franz ha scritto i testi in italiano mentre io, insieme ad Esperide (Silvia Buffagni), ho steso quelli in inglese. Dopo 50 anni di grande affiatamento c’è molta fiducia e sintonia: abbiamo registrato in studio le reciproche versioni senza neanche leggere prima i testi l’uno dell’altro».
La danza degli specchi è uno dei brani che rispecchia molto la PFM.
Patrick: «Il nostro gradimento, soprattutto nella cultura americana, dipende dal fatto che pur basandoci su una musica strutturata di matrice europea e dagli arrangiamenti curati, improvvisiamo dal vivo quasi metà dei nostri concerti. La danza degli specchi in questo senso è una sintesi di questo nostro stile: parte da un ritmo tribale di base alla Bo Didley e si sviluppa in un modo musicalmente sorprendente e complesso che cerchiamo di far arrivare in maniera molto diretta, come sempre ha fatto la PFM.
Franz: «Ci interessa prima di tutto che la melodia sia bella e, come in questo caso, il tempo viene di conseguenza. Quel ritmo tribale, passando di cultura in cultura, diventa danza popolare, poi dance, taranta e, nel culmine della canzone, ballo irlandese: una sorta di comun denominatore di tutte le danze popolari. La nostra è una visione di campo e controcampo che, fin dai tempi di A celebration, ci porta all’interno di mondi inconsueti: La danza degli specchi è un pezzo che solo PFM avrebbe potuto fare».
Nel disco si parla molto di non perder di vista i sogni: il rapporto musica-sogno è la chiave per interpretare Emotional Tattoos ma in generale anche la vostra musica?
Patrick: «Il sogno è la rappresentazione della fantasia, assoluta libertà senza limiti e la musica invece, matematica pura, è una sorta di organizzazione della fantasia. C’è un preciso legame nel rapporto musica-sogno: un esempio emblematico è in Beethoven che da sordo ha composto bellissima musica che ha solo potuto immaginare».
Franz: «La musica aiuta a catturare le percezioni dei sogni intesi come fuga dalla realtà. Musica e sogno sono dimensioni strettamente collegate: quando ascolto musica mi lascio trasportare al punto di non sentire più il mio corpo ed entrare totalmente in quell’esperienza sensoriale, come sognare. La musica è come un grande plug-in al quale attaccare qualsiasi sogno e il nostro obbiettivo dovrebbe essere saper rievocare quelle meravigliose visioni anche da svegli (sorride)».