Il Maestro Pino Perris: dalla commedia di Garinei e Giovannini ad Amici fino a Sanremo. La musica non ha limiti
Pino Perris è uno dei mitici insegnanti di Amici. Con la sua preparazione emersero Marco Carta, Valerio Scanu, Alessandra Amoroso, Emma Marrone: praticamente chi si affida di lui ha un successo assicurato. Sì, perché lui Maestro lo è davvero.
Pino Perris infatti si diploma in pianoforte nel 1993 per accompagnare successivamente serate di varietà e orchestrare i musical più importanti degli ultimi trent’anni: Hello Dolly, A qualcuno piace caldo, Pinocchio, Bulli e Pupe, The Producer, solo per citarne alcuni. L’esperienza da pianista in tanti spettacoli di Garinei e Giovannini lo portano al Maurizio Costanzo Show nel 2007, con il suo inconfondibile talento di sottolineare i momenti della trasmissione talvolta anche con pochi ma essenziali tocchi sul pianoforte. Nel suo curriculum grandi collaborazioni anche con Fiorella Mannoia.
Anche Sanremo è da parecchi anni nel mirino del Maestro Pino Perris.
Iniziò nel 1996 dirigendo Syria in Non ci sto e fu subito vittoria tra i Giovani al debutto. Ci riprovò nel 2012 con Emma Marrone (Non è l’inferno) e non andò peggio: primo posto tra i Big. Successivamente grandi successi discografici con Dear Jack, Fabrizio Moro, Sergio Sylvestre, Annalisa, Alberto Urso, Riki. Sa capire perfettamente le potenzialità dei nuovi mezzi di comunicazione e crede molto nei ragazzi: del resto ne sa qualcosa di cosa voglia dire sviluppare la passione musicale in giovane età.
Quando inizia il tuo percorso nella musica?
Sin da bambino. Casa mia era “infestata” da musicisti: mia madre aveva studiato da piccola, gli zii erano tastieristi e cantanti. Il pianoforte a casa era il “gioco” su cui io e i miei 4 fratelli ci sfogavamo per trovare le melodie grazie anche qualche insegnamento che ci dava nostra madre. Lo zio quindi ci mise sul percorso e il nonno materno, appassionato di musica, ci incoraggiava esaudendo tutti i nostri desideri: se dicevo che volevo suonare uno strumento, lui andava al negozio e lo comprava subito. Così con i miei fratelli (il più piccolo aveva 11 anni in meno di me) creammo un piccolo gruppo dove suonavamo pianoforte, contrabbasso, chitarra e batteria. Partecipammo anche ad alcune gare televisive.
Insomma eravate una specie di Five italiani. Poi la cosa si fece sempre più seria.
Mi diplomai in pianoforte e ci volle anche un po’ di coraggio.
La cultura del Sud impone sempre di pensare ad avere un posto fisso e stabile e di considerare la musica come hobby, invece divenne la nostra professione.
Tutti e cinque oggi siamo musicisti, ognuno in un ambito diverso.
Ci sono Maestri a cui aspiravi di avvicinarti per la loro grandezza?
In realtà li ho scoperti tutti strada facendo. Ho iniziato a Napoli con il varietà e il cabaret; ebbi la fortuna di lavorare in una trasmissione Rai con Franco Franchi e Ciccio Ingrassia (Avanspettacolo, nel 1992), quindi al Carlo Sistina a Roma con la ditta Garinei e Giovannini, con cui ho collaborato per 16 anni. In queste occasioni conobbi vari Maestri e cominciai ad apprezzare i creatori della storia della commedia musicale italiana. Lavorai così con Gianni Ferrio, che fino ad allora era per me il Maestro di Mina con Parole parole e Non gioco più. Conobbi Armando Trovajoli, per cui arrangiai tre commedie musicali. Ecco, non ebbi mai l’occasione di incontrare Ennio Morricone: peccato…
Qual è la caratteristica principale di un Direttore d’Orchestra?
È una figura che va distinta in due ambiti: quello classico, che richiede uno studio particolare, e quello della musica pop. È un ruolo dove ci si affida molto all’istinto. La gestualità è fondamentale ed è insita nel Direttore, che con quella sa esprimersi come nessun altro per trasformare la scrittura nel suono dei musicisti.
Tu che frequenti molto la tv, non hai paura che questa e tanti personaggi che ne fanno parte possano in qualche modo sminuire il valore della qualità musicale del Maestro Pino Perris?
La televisione è intrattenimento, quindi sarà sempre legata agli ascolti, ossia a un sistema che non farà mai parte della musica, ma voglio vederla come una possibilità in più.
Ho sempre vissuto il mio lavoro con gioia, non mi preoccupo quello che c’è intorno: io rimarrò sempre Pino Perris in qualunque ambito.
E poi l’esperienza mi insegna che tutto questo fa parte della vita. Mi spiego, la musica è un bene comune, come il calcio: tutti si sentono autorizzati a fare gli allenatori e i musicisti o, nella migliore delle ipotesi, i critici. È compito di chi gestisce queste situazioni discernere dove ci sia solo intrattenimento e dove la qualità, per darle risalto.
Tra le tue tantissime esperienze, praticamente tutte vincenti, vorrei chiederti come prendesti la scelta di Riki, a Sanremo 2020, che chiese al suo pubblico di non televotarlo per concentrarsi sull’ascolto della dolcissima canzone (Lo sappiamo entrambi). Arrivò così ultimo: scelta nobile, ma sappiamo che il televoto fa quasi sempre la differenza…
Certo, quando si dirige una canzone che vince come accadde con Emma nel 2012, si vive una grande gioia. In ogni gara, però, anche gli ultimi in classifica hanno fatto storia, quindi non mi preoccupò minimamente quella sua richiesta ai fan. Preciso che il pezzo fu arrangiato dalla sua produzione, io trascrissi per l’orchestra ciò che dava merito al pezzo originario: ero quindi poco legato alla storia del pezzo, quanto piuttosto a Riki, che avevo conosciuto ad Amici. Lui è una bravissima persona e la sua richiesta scaturì da un sistema che non gradiva: non per niente mira più al mercato sudamericano, dove è molto apprezzato.
C’è sempre un certo scetticismo da parte di molti Maestri nei confronti dei talent. Tu che li frequenti con tutto il bagaglio delle tue importanti esperienze, puoi dirci perché bisogna credere nei talent?
La televisione ha una potenza mediatica straordinaria ed è l’unico mezzo che rende popolare il personaggio. Musicalmente i talent aiutano a questo. Ovviamente bisogna riconoscere che è pur sempre spettacolo, ma anche le case discografiche oggi attingono dai talent mentre una volta scovavano i giovani nei locali.
Oggi è tutto più veloce: per i discografici è diventato molto più comodo mettere sul mercato un ragazzo che abbia già sei mesi di visibilità televisiva.
Si parte già da un percorso musicale di un certo tipo.
Quindi la bella musica ha ancora un futuro assicurato?
Direi proprio di sì! I social oggi stanno facendo molto: il web è la televisione del futuro. Nell’ultimo Festival di Sanremo molti cantanti arrivavano da lì, perché l’aspetto sonoro stesso è cambiato. Ora la musica si ascolta con i cellulari. Bisogna dare fiducia alle nuove tecnologie.