Primo Atto di Secessione: “Atto primo”, la scena musicale della band sarda si apre con un EP multiforme ma intenso di emozioni
I Primo Atto di Secessione sono un gruppo proveniente dalla Sardegna, formatasi ad Oristano nell’inverno 2020 dalle ceneri dei The Defiance, nota band sarda alternative rock. Sono uno degli esempi di come la musica non si fermi anche quando sembra tutto finito o senza speranza. Strizzano sempre un occhio alle sonorità d’oltremare e si proiettano verso lavori futuri già in fase di lavorazione. Il loro esordio ha un titolo inequivocabile, ossia “Atto primo”, un EP composto da cinque tracce dai toni polemici ma accattivanti; i brani, infatti, raccontano storie di insofferenza e di speranza, di drammi e resilienza.
Buongiorno a tutte/i e, oggi do il benvenuto a Filippo Sanna, frontman della band Primo Atto di Secessione. Buon anno! Come stai?
Buongiorno e buon anno a voi, è un piacere essere qui. Tutto bene, siamo tornati a suonare e siamo abbastanza soddisfatti del presente.
Se devi fare un bilancio del 2024, che anno è stato per voi? Dammi un feedback…
È stato un anno diviso in due parti. Nella prima abbiamo concluso la stesura dell’EP, iniziata nell’estate del 2023. È stato un processo lungo e frastagliato, e nell’ambiente underground le tempistiche sono sempre dilatate, soprattutto quando si ha un budget ristretto. Dopo qualche feedback positivo abbiamo iniziato ad ingranare. Riprendere in mano il progetto in un’età over 30 è stato complicato. Nella seconda parte dell’anno ci siamo tolti diverse soddisfazioni e questo ci ha dato la carica per andare avanti e migliorarci.
Da quante persone è composta la vostra band?
Siamo in 4, io che canto, il bassista Fabio Manca, il batterista Mirko Rossi e il chitarrista Daniele Mereu. In realtà c’è anche un quinto elemento, un jolly, Giuseppe Aledda, il produttore dell’EP e polistrumentista, ci aiuta spesso nei live.
Come ha preso vita il vostro gruppo?
Noi nasciamo dalle ceneri dei The Defiance, un gruppo alternative rock dell’oristanese che fondeva delle influenze punk e grunge. Orfani di questa esperienza, con il bassista e con il batterista avevamo ancora voglia di suonare, avevo dei pezzi molto grezzi chitarra e voce in italiano e abbiamo provato insieme a suonarli. Siamo un gruppetto di amici ma tra di noi si è creata una bella alchimia specialmente nel nostro lavoro.
La scelta di chiamarvi “Primo Atto di Secessione” da dove deriva?
La scelta del nome di una band è abbastanza complicata. Il fattore primario che potrebbe saltare all’occhio è un’impronta politica ma in realtà non è così. Da sardi abbiamo voluto un po’ giocare sulla secessione e sull’indipendentismo, volevamo solo essere ironici. Principalmente riguarda una secessione da noi stessi e dal nostro passato musicale.
Che legame avete con la vostra terra?
Un legame molto forte, vivere in un’isola a volte ti chiude altre volte ti lega, abbiamo radici importanti.
Che clima musicale si respira in Sardegna?
Il discorso è ampio, il panorama proposto è ricco e i generi sono variegati; ci sono tante belle proposte soprattutto nell’ambito underground. Il problema sono le scarse possibilità di emersione, tanti di noi si ritrovano a suonare solo nelle proprie salette e non hanno neanche un posto. C’è qualche locale a Cagliari, Sassari e Olbia ma niente di rilevante.
Entriamo in questo “Primo atto”: come ha preso forma e cosa contiene?
Il titolo non è casuale, l’idea è quella di suddividere il lavoro in più fasi e mettere in scena un’opera teatrale. Questo primo atto lascia intravedere nel futuro la possibilità di un secondo atto, di un terzo e così via. Abbiamo scelto di realizzare un EP perché non volevamo strafare, si è creata un’atmosfera ed un’emotività a noi molto affini. All’interno è un po’ cupo ma comunque ci sono pezzi che aprono ad una speranza come “Ci precipito ancora”. Altri brani invece come “E vuoi vedere che” in cui si racconta di un attacco di panico; “Kali”, una persona che migra dall’Africa e muore per mare, “Rene Delacroix” dalle tinte molto scure.
Cosa speri che le persone recepiscano da questo progetto?
Spero sempre che le persone che ascoltano le nostre canzoni possano fare un viaggio. Voglio portarli in una determinata dimensione senza però fargli la morale. Lascio sempre libera interpretazione al pubblico, non tendo mai a lasciare dei messaggi particolari.
Mentre ascoltavo i brani con il testo davanti, c’è una frase che mi ha colpito ed è contenuta ne “La canzone della noia”: nell’urgenza di convincere, domani sai saremo polvere. Che significato gli hai dato?
Si sente spesso il bisogno di imporsi sugli altri e di autoconvincersi. La vita è un soffio, domani saremo tutti polvere; l’idea di plagiare gli altri la trovo tempo e fiato perso.
Un marchio di fabbrica che avete conservato fin dall’inizio?
Ti posso dire la visceralità con cui affrontiamo questa passione. Per me sono importanti il contatto e lo stimolo emotivo. Mi lascio spesso trasportare, l’emotività e la necessità espressiva di comunicare qualcosa prevale sempre su tutto.
Che effetto vi fa salire sul palco e cantare?
Malissimo e benissimo allo stesso tempo. Prima di iniziare siamo sempre in preda all’ansia da prestazione; una volta che rompi il muro dell’ansia con il primo pezzo, hai davanti una discesa positiva e te la godi pienamente.
Novità in arrivo nel 2025? Progetti in cantiere?
L’obiettivo principale è quella di suonare e portare l’album fuori dalla Sardegna. Nella nostra ipotetica scaletta inseriamo sempre qualche brano inedito per arricchire la serata.
Una traccia a cui siete più legati?
Questo va molto a seconda del proprio gusto però in questo EP siamo tutti orientati verso “La canzone della noia”. È un pezzo che ci diverte, ci fa sfogare, si presta perfettamente ad un live.
Qual è il desiderio che avete nel cassetto?
Poter vivere grazie alla musica. Renderla una professione non sporcherebbe la voglia che abbiamo di suonare, mantenendoci sempre coerenti con ciò che ci piace fare.