Quattro chiacchiere con il giovane performer mantovano, fuori con il singolo “Sesto senso”
“Sogna ragazzo sogna” cantava Roberto Vecchioni, una canzone che sembra scritta per Raimondo Cataldo, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Raim, sognatore incallito che fa della propria passione per la musica la sua bussola. “Sesto senso“ è il titolo del nuovo singolo, un brano che lo rappresenta e lo descrive sia caratterialmente che artisticamente.
In un’epoca in cui facciamo quasi fatica a percepire gli altri cinque, cos’è per te il “sesto senso”?
L’istinto, infatti in questa canzone ho voluto raccontare una mia condizione, la stessa che mi ha spinto ad ascoltare il mio sesto senso in un momento molto particolare della mia vita. Ho voluto tagliare le radici con il mio passato artistico, perché ho all’attivo un precedente percorso con il mio reale nome. Ad un certo punto ho voluto cambiare, prendere in mano le redini della mia vita, cambiare produzione e dare vita al progetto Raim.
Coniugare la tecnica vocale con l’aspetto comunicativo, quanto lavoro c’è dietro l’interpretazione?
C’è un lavoro lunghissimo, direi interminabile. Ho sempre cantato, sin da bambino, ma ho cominciato con convinzione verso i quindici anni, iniziando un percorso di studio che, ovviamente, si basava molto sulla tecnica. Col tempo ho sviluppato l’aspetto comunicativo, portandomi ad avere una forte capacità interpretativa, al punto da essere diventata una caratteristica fondamentale del mio canto.
Quando e come hai intuito che cantare era qualcosa di più di una semplice passione e di un passatempo?
L’ho capito durante la mia prima esibizione in un saggio scolastico, dovevo cantare “I migliori anni della nostra vita” di Renato Zero. Le emozioni che ho vissuto in quel momento mi hanno fatto intuire che poteva diventare qualcosa di importante, al punto da decidere di voler vivere di musica. Non è semplice, non lo è mai stato e in alcune situazioni non lo è ancora. Mi ritengo molto fortunato nel poter concentrare tutte le mie forze in ciò che mi piace fare.
Coltivi altre passioni oltre la musica?
Sì, ho altre passioni, ad esempio mi piace tantissimo leggere. Mi affascina il mondo della moda, tutto ciò che riguarda gli abiti e le scelte stilistiche. Mi diverte selezionare gli outfit per le mie esibizioni o per i videoclip. Poi il cinema, guardo tantissimi film e moltissime serie tv, mi piace cucinare, amo viaggiare, infatti quando ho tempo libero prendo e parto.
A parte i tortelli di zucca, cosa ti lega alla tua terra?
Guarda, ho delle forti radici che si dividono tra Mantova e Napoli, nel senso che i miei genitori sono entrambi di Torre del Greco, si sono trasferiti negli anni ’80 insieme ai miei fratelli più grandi, infatti sono l’unico della famiglia ad essere nato qui. Mi sono sempre sentito un nomade, perché negli anni ho anche cambiato diverse case, quindi non avverto un’appartenenza ad un luogo ben specifico, però Mantova è il posto a cui sono più legato, perché mi ricorda l’infanzia e la mia adolescenza.
Prendendo spunto dalle immagini animate del tuo nuovo videoclip, ti chiedo: che bambino sei stato?
Sono stato un bambino ultra vivace, molto curioso, per certi versi anche molto timido. Ho sempre cercato di conservare le mie emozioni e miei sentimenti, poi, crescendo ho capito che non è sempre giusto, in questo la musica mi ha cambiato tantissimo. Sai, sul palco hai la voglia, il bisogno e la necessità di far vivere le emozioni alle persone che ti ascoltano.
In che modo ti descriveresti oggi?
Oggi sono un ragazzo solare, cerco sempre di mostrare la mia positività, una dote piuttosto innata, che mi riconoscono sia amici che collaboratori. In qualsiasi tipo di situazione viene fuori questo mio voler cercare sempre il buono. Ho imparato a ragionare e pensare di più, mi reputo una persona curiosa della vita in generale, aperta al cambiamento.
Infine, come ti immagini tra dieci anni?
Spero di continuare a vivere della mia passione a livelli sempre più alti, sono contento di quello che ho, ma voglio continuare a sognare. Tra dieci anni mi vedo immerso totalmente nella mia musica, magari con un pubblico un po’ più vasto, a guardarmi indietro e rivivere le esperienze che mi hanno portato a quella determinata condizione. Il resto non saprei, soprattutto per quanto riguarda la mia sfera personale, l’unica certezza e l’unica cosa che riesco ad immaginare nel mio futuro è la musica.