Comprendo ogni giorno la scelta che ho fatto senza dimenticarmi il detto “Prendi l’arte e mettila da parte”
“Abbi cura dei tuoi ricordi perché non puoi viverli di nuovo”. Commentami questa frase parlando delle tue origini.
La parola “ricordi” rimanda al passato e inizialmente ho visto il teatro come una valvola di sfogo. Facevo tanto sport, dal tennis al calcio, ma anche se ripenso a quelle esperienze con molta gioia e spensieratezza, sentivo inconsciamente che non ero chiamato in quei campi e cercavo delle alternative che non entravano in quelle logiche.
Così alle medie incontrai una scuola di teatro a Novara, laRibalta, che mi diede la possibilità di scoprire le possibilità alternative che il Teatro offre, come e più di qualsiasi altra disciplina artistica.
Così iniziai a calcare le assi di un parquet sognando di calcare un palco vero e proprio. Capitò: incontrai infatti il palco del Piccolo Teatro Grassi di Milano appena tredicenne e mai avrei pensato che un domani sarei entrato in quel mondo.
Avevo una parte in uno spettacolo “Ballo solo se c’è il terremoto” in cui si parlava di una compagnia di artisti che cercava di trovare la loro strada nel difficile percorso della vita affrontando la precarietà del mestiere dell’attore in una serie di scene comiche.
Nello spettacolo ero invaghito di un mio compagno che mi rifiutava e mi lasciava una sua scarpa con la quale io mi relazionavo come se fosse lui e….la gente rideva! Non importava cosa facessi o dicessi: rideva! E pensai “Mica male ‘sto Teatro…!”
Così più mi affascinavo più trovavo il mio posto. In seguito, frequentai l’indirizzo alberghiero che mi fece scoprire la mia passione per la cucina, in quanto cucinare è prendersi cura dal gusto delle persone cercando di sorprenderle nel piatto.
Sacha Trapletti: la forza dell’immaginazione
Notai che il Teatro lo faceva, seppur con modi diversi ma con la stessa cura ed attenzione. Crescendo, la vita poi ti porta a una scelta su che cosa vuoi farci della tua esistenza.
Tentai l’università, molti mi consigliarono di non fermarmi con lo studio e di approfondire ma non passavo un esame neanche a pagarlo…così, spaesato, decisi di voltarmi indietro e ricordare che avevo un’altra freccia nella mia faretra e decisi di scoccarla. Il Piccolo Teatro di Milano mi avrebbe preso nel 2014.
Dopo una lunga prova scenica e personale ci ero riuscito, tanto da convincere i miei genitori a supportare questa mia scelta di vita; mio padre recentemente, in questi periodi strani e dilatati, con mille incertezze, mi dice di ascoltare “L’istrione” di Charles Aznavour ma cantato da Massimo Ranieri. Mi ci rivedo, e comprendo ogni giorno la scelta che ho fatto senza dimenticarmi il detto “prendi l’arte e mettila da parte”. Quindi ricordo e i ricordi mi aiutano a capire chi fossi e chi voglio essere.
Questo è ancora il mestiere più bello del mondo?
Non so se bello è la parola giusta. Difficile di sicuro. Incerto? Forse, visto le poche certezze che si incontrano: ma si, è bello!
Nel senso che ti mette alla prova come qualsiasi altro mestiere, ma ti dà la possibilità di trovare te stesso e capirti molto meglio come persona, e come essere umano che si interfaccia con altri della stessa specie e in modo analogo anche come interprete, per arrivare e restituire l’essenza di ciò che viviamo ogni giorno, grazie sia ai testi più classici che a quelli più contemporanei, ma sempre cercando di colmare alcune mancanze, indagando cosa ci manca e sorprendendoci quando scopriamo delle cose che ci riguardano e al tempo stesso mi riguardano.
Che musica ami, quali autori in particolare?
Non c’è una musica che amo. La amo tutta. Dalle colonne sonore alla musica concreta, dal Pop al J-Rock, ma se dovessi scegliere direi la musica che ha temi epici come quella degli Audiomachine, ma siccome noi giorno dopo giorno cambiamo, semmai dovessi, per lavoro o svago, ascoltare qualcosa di qualunque genere che mi piace la riascolterei per 40-50 volte di seguito!
Mi lascio ispirare dai cantautori italiani come Fiorella Mannoia, Venditti e altri come Modugno, Jannacci, Gaber e se scopro una musica leggera, o del Jazz che da recente ho iniziato ad amare, l’ascolto con attenzione. Non mi limito, ho fame di continua scoperta.
Hai lavorato più volte sull’Opera da tre soldi, vero? Come mai e in che modo?
Brecht mi ha stregato a 16 anni, quando dovetti interpretare Peachum, mi avrebbe dato la possibilità di far porre delle domande a chi mi guardava e a spingerlo, uscito dal teatro, a chiedersi “ma quella cosa l’ho già vista…vissuta…mi ci rivedo e poi perché se è un testo così vecchio è così attuale?”
La forza dei Classici! Che ti prende e ti scompiglia facendoti capire che in fondo certe cose non cambiano ma danno la possibilità di cambiare solo se chi ha orecchie per intendere intenderà.
L’ho fatta spesso L’opera da Tre Soldi, altro segnale del fato che mi chiamava al Piccolo? Forse, perché dopo aver vinto un Festival di Teatro a Crema, il Franco Agostino Teatro Festival, andammo al Grassi a Milano, sul palco dove la prima Opera da Tre soldi di Strehler e Brecht e Kurt Weill aveva preso luce con Tino Carraro come Mackie Masser e Mario Carotenuto come Peachum!
Mi ha dato molto quel testo, come Risveglio di Primavera di Wedekind, antecedente a Brecht, che mi diede un monologo grazie al quale entrai al Piccolo.
Sacha Trapletti: la forza dell’immaginazione
Una volta l’abbiamo fatta insieme ai ragazzi della SFOM, Fondazione Maria Ida Viglino per la Cultura Musicale, dove cantavamo e ballavamo…insomma una compagnia era nata!
Fu trascritta sotto il nome di Delle Umane Ineguatezze da Angelo Colombo, al quale devo molto perché mi ha permesso di incuriosirmi su cosa c’è ancora? Quale è il prossimo Step? Senza averlo incontrato non penso che mi sarei buttato. Entrai al Piccolo a ventun anni.
Gli altri spettacoli tuoi con musica che ami ricordare e l’ultimo?
L’ultimo è La Vicenda dell’Airone e della Bicicletta che gli Insegnò a Volare, un omaggio a Fausto Coppi, il grande ciclista, con le musiche originali composte da Raffaello Basiglio che conobbi per caso e che mi avrebbe fatto conoscere un altro modo di lavorare con la musica Jazz, eseguita dal vivo da una Big Band composta da Claudio Wally Allifranchini e Daniele Moretto, quest’ultimo in scena recentemente con Massini al Piccolo, aridaje!
Il modo in cui noi abbiamo lavorato sull’opera è stato affrontare il testo con la sua analisi, interpretazione, approccio al personaggio, quindi come interpretarlo e come restituirlo ai giorni nostri e soprattutto scoprendo l’altro, ovvero il mio compagno di scena, dove rendendolo più importante di me lo spettacolo avrebbe giovato; un lavoro davvero approfondito, come dovrebbe essere sempre ma di solito non è.
Un breve racconto/ esperienza come attore di strada e uno coi bambini
La mia prima esperienza come attore di strada è stata a Novara, la città dove sono cresciuto anche se sono nato a Milano. Fermavo le persone e le spolveravo con uno spolverino. Così riuscivo a creare subito un contatto e a formare attorno a me un cerchio dentro il quale iniziavo a giocare lanciando le palline.
Sono Giocoliere, non bravissimo ma me la so cavare, ed è interessante cercare di tenere viva l’attenzione in un luogo come la strada, rispetto alla sala, dove ci si va volontariamente ed è prevista una certa attenzione verso quello che tu stai facendo.
In strada è ancora più difficile in quanto devi sempre cercare di mantenere l’attenzione alta e restituire e far trascorrere una mezz’ora o un’ora di allegria a persone che possono decidere di fermarsi anche solo dieci secondi e poi riprendere la loro passeggiata.
Mentre con i bambini…Quando mi sono diplomato nel 2017 ho iniziato a rivisitare un testo di Jules Verne, Il giro del mondo in 80 giorni, in cui avrei interpretato tutti i personaggi e ho pensato di farlo per i bambini, cercando di far loro “vedere” questi viaggi straordinari, con un elefante, una mongolfiera e un treno che magicamente si materializzano in scena e sorprendono tanto i bambini quanto gli adulti per vivere un’ora insieme di magia, o quella che io vorrei rendere magia.
Ma la cosa più bella è che questo spettacolo è stato visto da Carmelo Rifici e mi è stato prodotto dal LAC, Lugano arte e cultura, nel 2019, dove per la prima volta mi sarei presentato fuori dall’Italia come regista, autore, attore, interprete.
Lo so, sono troppe cose insieme…spero di non peccare in egocentrismo ma è la pura verità. Mi chiedevi del lavoro dell’attore…
Il mio lavoro permette a tutti, grandi e piccini, di sognare, che è la caratteristica principale dell’infanzia, dove tutto sembra possibile, dove riusciamo a piegare la realtà a nostro piacimento utilizzando la forza più grande del bambino, che è anche quella dell’adulto e soprattutto dell’attore: l’immaginazione.
Prossimamente?
Prossimamente sto lavorando a un testo insieme all’amico e collega Andrea Salierno dal titolo “Part-Ahimè”, a delle letture su Fausto Coppi, Enrico Cecchetti, e Carlo Casanova nel piccolo paese di Quarna Sotto, sopra la città di Omegna ai piedi del lago d’Orta.
Mi è stato chiesto anche di partecipare a diversi cortometraggi che speriamo di poter realizzare nonostante le problematiche legate alla pandemia.
Mi sto orientando al doppiaggio facendo già qualche lavoro per musei e piccoli brusii, e sto scoprendo un altro mestiere bellissimo, molto difficile ma umano al 100%. Inoltre, continuo a scrivere, a formarmi frequentando seminari e workshop, ad essere pronto per propormi a qualsiasi tipo di progetto, iniziativa e follia che mi viene richiesta.
Perché molte volte è giusto sapere cogliere e prendere al volo le occasioni anche se sembra non abbiano nulla di artistico. Lì nascono le cose più belle e sorprendenti, spesso, come ho notato man mano che vengo chiamato per un caffè o bevuta. In molti ritrovano in me una figura di appoggio.
Ecco: voglio essere un appoggio, una mano tesa che dica: “Facciamolo e vediamo che succede!” Impegnandomi, con tutti i miei difetti e i miei limiti cercando sempre di migliorarmi, per creare qualcosa insieme ad altri, perché nessuno può farcela da solo. Bisogna mettersi in gioco ogni giorno e lavorare, tirando su le maniche e faticando sempre a testa bassa. Ma con lo sguardo rivolto sempre in alto