Intervista al duo toscano che ha recentemente pubblicato l’album “Slow”, un inno alla natura e alle sue molteplici sfaccettature
Reduci dal successo estivo del loro “AgriTour”, i Secondamarea continuano ad imporsi come una delle novità più interessanti dell’attuale scenario discografico. La loro è una musica non contaminata, se vogliamo pure controtendenza, che racchiude un messaggio molto forte, in un periodo storico dove i contenuti sembrano contare poco o niente. Lasciamoci contagiare dal loro suggestivo sound.
Ciao Ilaria, ciao Andrea, partiamo da “Slow”, il vostro ultimo album, cosa avete voluto lasciare fuori e cosa avete voluto portare con voi in questo disco?
Abbiamo voluto lasciare fuori tutte le sovrastrutture ideologiche e tecnologiche, inserendo tutto ciò che siamo noi. E’ il nostro disco più autentico, racconta della nostra quotidianità e sviscera lo stile di vita che ci appartiene. Attraverso queste dodici canzoni abbiamo messo in luce la nostra vera essenza.
A livello testuale è predominante la tematica degli effetti, spesso negativi, che l’uomo ha sul clima. Al contrario, credete che la natura riesca ancora ad infondere stupore nell’uomo?
Secondo noi, la natura ha ancora un grande valore immaginifico, il potere di stupirci, il vero problema è la distrazione dell’essere umano, imposta da chi ci ha messo in mano i vari giocattolini tecnologici del momento.
Ci si emoziona ancora davanti ad un tramonto o si preferisce condividere una foto, spesso filtrata, su Instagram?
Vivendo su un’isola, la metafora che hai appena fatto è davvero azzeccata. Al Giglio si può assistere a tramonti bellissimi, quello che notavamo è un certo esodo di turisti che, negli ultimi tempi, accorrono in massa per assistere a questo spettacolo. Sinceramente, nutriamo seri dubbi sul fatto che questa affluenza sia dettata dal voler vivere un momento a pieno contatto con la natura, anche perché hanno sempre un tablet o uno smartphone tra le mani. Forse perché siamo più interessati a mostrare la bellezza agli altri, più che a noi stessi.
Un po’ come accade durante i concerti, anziché godersi lo spettacolo si tende a riprenderlo con la fotocamera…
Esattamente, nel nostro piccolo abbiamo cercato di proporre un live diverso, per certi versi anomalo, realizzando oltre cinquanta date senza amplificazione. Una scommessa vinta, perché il nostro “AgriTour” è stato molto apprezzato del pubblico, che ha riscoperto il valore del vero ascolto, girando nei vari agriturismi abbiamo cercato di ricreare l’atmosfera delle canzoni intorno al fuoco. La comunicazione musicale è tra le più dirette e primitive, la gente ha bisogno di un contesto semplice per ritrovare la giusta concentrazione.
1. C’hanno rubato l’inverno
2. Naturale
3. Pellegrinaggio
4. Macina
5. Slow
6. Petrolio
7. Il presente
8. Via dell’orto
9. Sangue di legno
10. Senza
11. Acuacanta
12. Il mondo vuole te
Come valutate l’attuale scenario discografico e dove vi collocate?
Onestamente facciamo un un po’ fatica a collocarci. Oggi come oggi, è molto più semplice realizzare un prodotto usa e getta, piuttosto che investire su un progetto di ricerca, su un qualcosa che potrebbe avere degli effetti non immediati. In un verso contenuto nell’album diciamo: “perché il buono non è nel nuovo, ma nell’antico da ritrovare”. Non ci definiamo nostalgici, crediamo che sia necessario coltivare la memoria, così come stare al passo coi tempi maturando una consapevolezza critica nei confronti della modernità, senza bisogno di sconfinare in un retorico “si stava meglio prima”. Come in tutte le cose, bisogna prendere il buono e migliorare gli aspetti negativi.
Per concludere, citando il titolo della canzone che apre il disco, chi è che ci ha rubato l’inverno?
Bella domanda, scrivendo quel pezzo siamo arrivati alla conclusione che, in fin dei conti, siamo noi stessi gli artefici del nostro destino. In modo sarcastico abbiamo voluto descrivere le nostre contraddizioni, tendiamo sempre a cercare un colpevole ma non capiamo che ognuno di noi, nel suo piccolo, può contribuire sia all’evoluzione che all’involuzione della nostra umanità.