SOLO: “The importance of words” l’album di debutto, un mix di influenze in cui si bilanciano sperimentazione e orecchiabilità, tematiche sociali e testi più intimi e riflessivi
È uscito lo scorso 16 marzo l’album d’esordio di SOLO “The importance of words (songs of love, anti-capitalism and mental illness)”.
Dopo la pubblicazione di 5 singoli tutti diversi l’uno dall’altro, cosa che gli permette di avere una ampia copertura mediatica che va da Rai Radio 3 a La Stampa, passando per Metal Hammer fino a importanti riviste estere di settore quali Prog, It’s Psychedelic, Baby e Post-Punk.com, l’eclettico artista decide di racchiudere i brani già precedentemente pubblicati più altri 5 inediti in un album che è un melting pot di generi, ma allo stesso tempo coerente, con un occhio sempre puntato alla sperimentazione, all’art rock, alla psichedelia.
«Sono un ascoltatore onnivoro, sono davvero pochi i generi musicali che non rientrano nei miei ascolti. Quindi per me è naturale essere influenzato, di volta in volta, da generi musicali differenti. Al contempo, sono sempre stato molto affascinato dagli album eterogenei. In particolare, penso al “White album” dei Beatles: 30 brani, 30 generi musicali che si susseguono lasciando l’ascoltatore, di volta in volta, basito».
I Beatles, ma non solo, fra le influenze di SOLO, che vanno dal rock al pop, dal punk all’art rock, non disdegnando incursioni nell’elettronica sperimentale dei 50’s o nelle marce bandistiche da fanfara.
«Se dovessi elencare gli artisti che mi hanno più influenzato (e da cui ho rubato idee) nella stesura dei brani che compongono “The importance of words (songs of love, anti-capitalism and mental illness)” naturalmente dovrei citare prima di tutto i Beatles.
Poi i Pink Floyd, i Muse del primo periodo e i Radiohead più chitarristici, i Nirvana, Karlheinz Stockhausen e Pierre Schaeffer, Edoardo Bennato, fino a compositori di marce bandistiche, che sono stati per me influenti nel periodo in cui suonavo il sassofono nelle fanfare.
E Terry Gilliam e i Monty Python. In molti, nelle recensioni dei singoli, hanno notato attinenze con Suede, Gong, The Cure, Blossom Toes, Daft Punk e tantissime altre band che magari non ho neanche mai ascoltato: è il bello della musica e dell’arte in genere, arrivare a soluzioni affini da ascolti affini».
«Le tematiche principali trattate in “The importance of words (songs of love, anti-capitalism and mental illness)” sono di sicuro di carattere politico-sociale, in particolare legate a quella che è la nostra società dei consumi, di un libero mercato incontrollato, di un capitalismo preponderante che influenza le nostre vite.
E non di certo in maniera positiva. Influenzato dalla lettura di Pier Paolo Pasolini, Naomi Klein, Noam Chomsky, sono sempre stato molto critico verso la società e di come questa ci influenzi, anche nel nostro profondo: le “mental illness” del titolo, sono convinto, sono dovute in buona parte anche a come i costrutti sociali che ci impongono e ci auto-imponiamo ci influenzano. Quindi è tutto collegato. Anche il modo in cui proviamo amore, a chiudere il cerchio».
Particolare attenzione, all’interno dei brani che compongono “The importance of words (songs of love, anti-capitalism and mental illness)”, è stata data anche ai suoni, sia in fase di creazione/registrazione, sia in fase di mixaggio.
«Nei miei brani, oltre all’attenzione nello scrivere degli arrangiamenti quanto più particolari possibile, cerco sempre di aggiungere quel qualcosa in più sperimentando con i suoni. Ho migliaia di euro di pedali per chitarra e basso, che mi diverto a miscelare fra loro a creare suoni e paesaggi sonori.
Ho usato molte modulazioni, ambienti particolari, anche sulle voci, fino ai synth. A questo proposito, ci tengo a dire che tutti i synth dell’album sono suonati con chitarra e basso, e non con tastiere, mentre gli arpeggiatori sono stati realizzati nota per nota al PC e gli strumenti bandistici sono stati scritti sotto forma di partitura e poi digitalizzati.
Molta attenzione è stata data anche alla spazializzazione: importante è l’ascolto in cuffia, per poter apprezzare al meglio alcuni suoni che si spostano da un canale all’altro, in alcuni casi in binaurale, creando un effetto 3D, ad “avvolgere” l’ascoltatore».
All’album partecipano anche Nobody e Alidavid alle voci, rispettivamente sui brani “Something (you don’t need)” e “What’s the topic of the day? (forget the rest)”.
«Devo molto alla loro partecipazione, perché hanno colto alla perfezione l’essenza dei brani. Per “Something (you don’t need)” volevo una voce femminile che non fosse di quelle canoniche (come, del resto, non lo è la mia): la volevo sottile, un po’ bambinesca.
La cercavo, ma non riuscivo a trovarla. Una sera, ubriachi in un bar, sentii cantare Nobody (che è anche la bassista della The Bordello Rock ‘n’ Roll Band): l’avevo trovata! “What’s the topic of the day? (forget the rest)” è uno spoken word sopra le righe che scimmiotta la propaganda degli anni ‘40 (pubblicità che avevano già di per sé dei vocalist alquanto “peculiari”).
Pensando ai Monty Python (in particolare allo sketch di Terry Gilliam “International Communist Party of China”) avevo provato a registrarla io, ma la mia interpretazione era pessima. Quindi ho chiesto ad Alidavid di provarci lui. Devo dire che è impressionante il modo in cui è riuscito a ricreare quella che era la mia idea, senza che abbia avuto il bisogno di dargli chissà quante indicazioni: chapeau!».
L’album uscirà su pendrive, con molti contenuti inediti che non saranno reperibili online, fra cui due bonus disc (contenenti versioni alternative, remix e bootleg), video e immagini.
L’album, mixato da Edoardo Di Vietri presso l’Hexagonlab Studio, è stato masterizzato da Carl Saff, già a lavoro con artisti quali Sonic Youth, Mudhoney e Daniela Pes.
Voci, chitarre, bassi, elettronica e programmazioni sono di SOLO; batterie di David Garofalo e Nico Saturno (su “Hypocrisy (it’s all I see)”).
Video intervista a cura di Domenico Carriero