La storia di “Tanto pe’ cantà”: da Petrolini a Nino Manfredi…allo stadio!
Perché guardare una partita in curva allo stadio? “Tanto pe’ cantà”, potrebbe rispondere un tifoso di Roma o Lazio. Non sbaglierebbe. Anzi, interpreterebbe il sentimento di tutti, raccontandolo con quell’accento romanesco che fa apparire tutto sempre più convincente. In dialetto romanesco ogni frase diventa quasi un imperativo. Non ci sono alternative, nè spiegazioni da dare: si va allo stadio “tanto pe’ cantà”. Spensierati, senza porsi troppe domande. Guidati unicamente dalla passione per lo sport (o almeno così dovrebbe essere). In ogni caso, come sempre, è la musica a ricordare i valori di unità e divertimento che dovrebbe creare il calcio. Tanto pe’ cantà è per Roma un po’ come O mia bela Madunina per Milano: una canzone in grado di accomunare persino due tifoserie avversarie che si contendono la potestà di una città. A volte si sono cambiate le parole, in modo goliardico e anche un po’ irriverente. In tutte le partite della Roma, però, risuona all’Olimpico questa canzone con la voce di Nino Manfredi. Nella sua versione ufficiale insomma. E lo stadio canta insieme al grande Nino. In questa nuova puntata di MusiCalcio vogliamo allora ripercorrerne la storia. Quella non calcistica.
Perché Tanto pe’ cantà è innanzitutto una grande canzone della nostra storia italiana.
Le sue origini risalgono addirittura al 1932. Ettore Petrolini, attore cabarettista e drammaturgo che amava leggere la quotidianità con grande ironia, si trovava a letto per una angina pectoris. La convalescenza durò sei mesi, ma il genio non si arrestò di fronte alla malattia. In quel periodo scrisse infatti “Tanto pe’ cantà” e il suo incipit sembra proprio spiegarne bene le ragioni. “Quanno c’è ‘a salute c’è tutto, Basta ‘a salute e un par de scarpe nove, Poi girà tutto er monno. E m’a accompagno da me”.
Insomma, basta la salute: per il resto tutto può accadere e nulla scalfirà mai la voglia di divertirsi. Non vedeva l’ora di tornare sui palcoscenici Petrolini. Lui che viene ricordato ancora oggi come il Maestro del teatro italiano. Talvolta persino accusato di propensione al fascismo. Nulla di tutto ciò: semplicemente aveva un rapporto cordiale con Mussolini, che sapeva bene di non potere attaccare un artista come lui. Irriverente e satirico con tutti, certo non sprovveduto da essere troppo crudele con il governo dell’epoca (che comunque non lesinava di divertenti imitazioni). Il suo unico obiettivo era divertire e distrarre. Tanto pe’ cantà lo conferma pienamente.
Tanto pe’ cantà è una canzone d’amore, fatta davvero alla maniera di Petrolini.
In quell’epoca in cui tutti intonavano brani d’amore piene di passione, con voci calde e quasi liriche, ecco Petrolini. Timbro marcatamente nasale, vocali allungate con chiaro intento satirico. In pratica Tanto pe’ cantà è la caricatura di certi brani interpretati con trasporto sentimentale. Petrolini lo precisa: Io nun ve canto a voce piena, Ma tutta l’anima è serena. E quanno er cielo se scolora De me nessuna se ‘nnamora. Come a dire, con una voce così si può essere aiutati solo dal cielo azzurro: appena giunge il tramonto, che richiederebbe maggior romanticismo, tutto svanisce.
Inutile dunque cantare per fare innamorare. Meglio dedicarsi anzitutto al benessere della propria anima.
Il canto diventa quindi uno sfogo per fare rilassare la mente e il corpo, con ironia e tanta voglia di sognare. Si, sognare forse anche quel primo amore che si rivelò ingannevole. O perlomeno sognare nuovamente quelle sensazioni irripetibili. Petrolini cantò così, ed evidentemente il suo messaggio arrivò. Tanto che addirittura 38 anni dopo, al Festival di Sanremo, Manfredi la ripropose in qualità di ospite. Dopo l’esordio della tv e di un nuovo modo di proporsi al pubblico, nel 1970 a quel punto si era pronti per tornare a celebrare i grandi Maestri. Coloro ai quali si deve la magica arte del palcoscenico. Così Manfredi rispolverò questo brano che, da quel momento, entrò nella tradizione romana forse più di prima. Mai avrebbe potuto immaginare quanto. Oggi Tanto pe’ cantà è un vero inno romano. Scegliete voi se giallorosso o biancoceleste. Forse di entrambi: è semplicemente Roma, aldilà della squadra per cui tifasse Nino. Allo stadio, ancora oggi, le curve (ma soprattutto quella romanista) lo cantano con orgoglio.
Perché si può essere sereni, spensierati e divertenti ovunque. Ma quel friccico nel cuore è tipicamente romano e tutta Italia lo invidia. Ma, a questo punto, ci si chiederà, quel primo amore “rintontoniva” o “rincojoniva”? Semplice, per Petrolini era buona la prima. Per Manfredi c’era bisogno di “farsi capire anche all’estero”, quindi optò per la seconda ipotesi. Così, con arrangiamento di Maurizio De Angelis, la canzone divenne un must.