Vedere la musica: Franco Covi

Il mio interesse è per le persone, sempre e comunque. Il posto prende vita, dove c’è un essere umano.

Vedere la musica: Franco Covi
Dipinge con le sue fotografie quello che vede il cuore (Foto © Franco Covi)

 

“Sono Franco Covi, nasco a Milano il 10 novembre 1965, alle sei del mattino. Mio papà trentino e mia mamma nata in olanda per caso, friulana d’origine. Appassionato, innamorato perdutamente della fotografia, da sempre”.

Franco Covi si presenta così. Mi piace riportare le sue parole, senza togliere una virgola, perché è sincero, ironico e diretto. Un bambino che cocciutamente, ripete al padre, commercialista, che vuole diventare un fotografo. Dalla prima macchina fotografica richiesta come regalo per la Prima Comunione, Franco ne riceverà molte altre a ogni compleanno o ricorrenza.

Anche papà deve arrendersi alla fine, non farà il commercialista (lavoro che grazie allo studio di famiglia avrebbe potuto garantire una certa tranquillità) ma il fotografo.

Raffinate ed eleganti, le sue fotografie sono un viaggio meraviglioso alla scoperta dell’animo umano. La sua, una vocazione all’arte che muove e alimenta tutto il suo percorso professionale, tra concretezza e creatività.

Perché la fotografia?

Non so come e perché, ma la passione per la fotografia, è da sempre. La prima macchina fotografica l’ho chiesta alla Comunione, come regalo. Non appena mi è venuto in mente che avrei potuto fare qualcosa nella vita, sapevo che avrei fatto il fotografo.

Ogni ricorrenza, ogni compleanno il regalo richiesto era una macchina fotografica. Fotografavo la mia famiglia, gli zii, i cugini. Mio papà mi chiese dopo le medie se volessi fare come lui, il commercialista. Risposi che volevo fare il fotografo: rise e mi chiese di prendere un diploma e che solo dopo, ne avremmo riparlato.

Ovviamente mi consigliò ragioneria, che mi rifiutai di fare. Non sapevo cosa scegliere, ma avevo chiaro cosa non volevo fare. Ho scelto per esclusione, il perito elettronico flaggando tutto quello che non mi piaceva, in sostanza l’ultima spiaggia.

Come hai cominciato?

Già l’ultimo anno di scuola, che facevo per dovere scalpitando, ho cominciato a fare l’assistente fotografo. Da lì, tanta gavetta come assistente di studio di Vogue Italia, dove ho “rubato” osservando chiunque. Poi, finalmente l’assistente fotografo a fotografi, da lì si sparse la voce e per cinque anni, ho lavorato davvero tanto.

A quel punto ho deciso di diventare professionista, un bel salto perché guadagnavo di più come assistente e lasciare era rischioso. Ho aperto lo studio con l’aiuto di mio padre, che, alla fine, ha dovuto convincersi che quello era davvero l’unico mestiere che volessi fare.

Ho iniziato con le sfilate, il back stage e tutto ciò che serviva per sopravvivere. Ho sempre cercato di ritagliarmi una parte artistica, al di là del tirare a campare per dare spazio a la mia parte creativa, la mia linfa vitale.

Franco Covi
A un certo punto della mia vita artistica, ho incontrato i danzatori e la musica (Foto ©Franco Covi)

Se il tuo lavoro si potesse riassumere in un viaggio, dove ci porteresti?

Non è importante il luogo: il mio viaggio ha sempre come protagoniste le persone. Mi piace fotografare corpi, che mi compaiono come in un sogno. Quando è una foto creativa, immagino quello che voglio e poi, lo realizzo. A un certo punto della mia vita artistica, ho incontrato i danzatori e la musica.

Da lì ho capito, che per il genere di foto che voglio fare, sono perfetti perché mettono in scena, esattamente quello che io ho immaginato, interpretando e dando vita ai miei sogni. Il risultato sono fotografie che spesso sono confuse come il reportage di uno spettacolo teatrale e invece, sono frutto della mia immaginazione, la stessa che userebbe un pittore nel realizzare la sua tela.

Invece che con pennelli e colori, realizzo i miei “quadri” con la macchina fotografica, dove i corpi danzano e conservano il loro movimento, la loro vitalità.

Come lavori con l’obiettivo?

Cerco di preparare la scena, come la voglio, racconto la mia storia ai danzatori. Poi lascio che si muovano liberamente e con la macchina, cerco di catturare quello che la mia mente ha già visto, in sogno. Cerco quello che ho immaginato e, solo allora, scatto.

È difficile andare a cercare quella foto se non l’hai in mente. Quel “clic” è l’ultima fase di un processo molto lungo che nasce dentro di me, nel mio immaginario. Credo che sia davvero come l’idea che nasce nel subconscio di uno scultore o di un pittore, quella che poi andrà sulla tela o scaverà nel marmo.

Quando mi capita di fare dei corsi, succede che qualcuno mi chieda con che macchina ho scattato quella foto. Rispondo sempre che è la domanda sbagliata. La domanda giusta è cosa volevi dire, cosa hai pensato. Questa è l’unica cosa che fa la vera differenza, altrimenti in pittura, si tratterebbe solo di colori e tecnica.

Sono molto attento ai particolari, la luce, l’inquadratura sono fondamentali, ma non bastano a raccontare quel che vedi.

Vedere la musica mi piace fotografare corpi
il mio viaggio ha sempre come protagoniste le persone. Mi piace fotografare corpi, che mi compaiono come in un sogno (Foto © Franco Covi)

La fotografia fa vedere quello che vede il tuo cuore.

Ho fatto una mostra che ritraeva danzatori disabili. Alcuni hanno ritratto queste persone in edifici abbandonati, con toni cupi a sottolinearne la difficoltà, la sofferenza. A me invece, qualcuno fece notare che guardando le mie fotografie non vedeva i disabili ed era vero: vedevo persone.

Parlami del tuo lavoro…

Ho lavorato tanto nelle sfilate di moda, quando le modelle erano regine indiscusse del jet set (più famose delle attrici) che rimanevano impresse nella memoria di tutti. Ho avuto il privilegio di fotografare Claudia Schiffer, Naomi Campbell, Linda Evangelista, Cindy Crawford, tanto per citarne qualcuna.

Erano una trentina e dominavano le passerelle e le scene. Oggi, pur occupandomi di moda, sarei in difficoltà a citarne dieci. Non se le ricorda nessuno, cominciano a sfilare giovanissime e spariscono nel nulla. A un certo punto, proprio perché affascinato dal movimento e dai danzatori, ho cominciato a fare video e oggi è il mio lavoro per il 50%.

Ovviamente ancora la moda per necessità e poi, per passione, gli spettacoli teatrali che amo come espressione nobile dell’arte. È questo anche il mio modo di dare una mano alle compagnie teatrali che sono da sempre (e non solo ora) in grande difficoltà a promuoversi.

Ti piace essere fotografato?

Per me è terribile e questa cosa mi accompagna come la passione per la fotografia, da sempre. Ricordo che un cugino di mia madre aveva la mania di fotografare la famiglia di continuo. Io cercavo di sfuggire e, quando riusciva a immortalarmi, avevo sempre le lacrime agli occhi, contrariato. Forse per questo motivo ho scelto di essere quello che scatta…

Come ti definiresti?

Se fossi un quadro, mi dipingerei come un Pollock, con tante cose dentro, che hanno bisogno di attenzione per essere comprese, altrimenti non vedi niente, solo macchie di colore.

Vedere la musica sono molto attento ai particolari
Sono molto attento ai particolari, la luce, l’inquadratura sono fondamentali, ma non bastano a raccontare quel che vedi (Foto © Franco Covi)

C’è qualcuno che ha condizionato, segnato questo tuo viaggio?

Ho cercato di imparare osservando tutti, perché ritengo fondamentale saper cogliere indizi utili alla nostra formazione da chiunque. C’è una persona che, però, è stata quella dalla quale ho imparato di più e che mi ha condizionato positivamente.

È Vincenzo Lo Sasso, fotografo affermato negli anni ’80, che oggi è pittore e scultore di successo. Con lui ci conosciamo da più di trent’anni e ha contribuito tanto alla mia formazione, che coniuga fotografia e arte.

Non ti capita mai di fotografare un paesaggio?

Solo se c’è una persona, che attira la mia attenzione dando significato a quel paesaggio, che pur bellissimo, difficilmente fotograferei.

Articolo a cura di Paola Ferro

Condividi su:
Redazione
Redazione
La Redazione di Musica361 è composta da giornalisti, scrittori, copywriter ed esperti di comunicazione tutti con il comune denominatore della professionalità, dell'entusiasmo e della passione per la musica.
Top