Invito al viaggio: Monica Cordiviola e le “sue” donne. I suoi scatti arrivano dal cuore
Monica Cordiviola è la fotografa delle donne e la sua missione, è ritrarle mettendo in luce la loro sinuosità, la bellezza che è intrinseca in ognuna di loro. La sua è una firma inequivocabile che cerca l’essenza, mettendo da parte pregiudizi e preconcetti.
Le sue sono donne molto diverse tra loro, che diventano protagoniste e regine di quello scatto. Il bianco e nero, è quello che predilige perché – dice- ha più carattere, è più teatrale e forse, le somiglia. Monica ha all’attivo mostre, a Firenze, Arezzo, Milano ed è stata autrice dell’anno al prestigioso festival della fotografia a Corigliano Calabro nel 2018.
Le sue donne si sentono belle ed intriganti, senza essere necessariamente delle top model. La donna nei suoi scatti ritrova e sfodera tutto il suo fascino, che sia spogliata o vestita, consapevole e libera.
Monica, presentaci Monica Cordiviola…
Sono nata al mare, il 9 agosto del 1970, i miei abitavano a Bolzano, ma mia mamma tornò in Toscana, per farmi nascere a Carrara. La nostra è stata una vita nomade per il lavoro di papà e per questo, ho studiato a Torino. In seguito, mi sono iscritta a giurisprudenza a Firenze, ma più che l’università ad attrarmi erano i musei, le mostre, dove trascorrevo incantata le giornate. Ho mollato, dopo due anni e ripensando a quel periodo, però, oggi posso dire con certezza, che tanta di quella bellezza che andavo cercando, è quella che mi ha spinta a diventare quella che sono, come donna e come fotografa.
Come è entrata la fotografia nella tua vita?
La fotografia è entrata nella mia vita per caso. Credo di averla sempre amata, fin da quando bambina, con la mia polaroid ritraevo qualunque soggetto. A dieci, quindici anni collezionavo riviste di moda come Harper’s Bazaar, Vogue, attirata da editoriali dedicati alla moda ma soprattutto affascinata dai ritratti delle donne che vi trovavo.
Donne di ogni genere, che ritagliavo e conservavo ordinatamente in cartelline che impilavo sul mio comodino. Quando la fotografia, è diventata un mestiere, ho recuperato immagini e ricordi della mia memoria traendone ispirazione. Mi sono resa conto come “quell’attrazione fatale”, non fosse casuale, ma dettata da una passione istintiva che aspettava solo di palesarsi.
Quando l’attrazione fatale è diventata il tuo mestiere?
È diventata un mestiere intorno ai trentacinque anni, per caso o forse, per destino. Ebbi un piccolo incidente a Carrara, per una buca sulla strada. Con il gruzzoletto che mi ritrovai a disposizione, mi comprai una macchina fotografica, carina anche se non super professionale.
Ho cominciato, così a ritrarre me stessa. Perché? Non mi piacevano le foto fatte da altri. Mi piacevo, non avevo complessi, ma nelle foto non mi riconoscevo. Con un timer, un cavalletto e lo specchio, passai un anno e più, a fotografarmi, “cercando-mi”.
La fortuna è stata anche determinata dal fatto che contestualmente sono nati i social, dove pubblicavo le mie foto rendendomi conto, ben presto, che piacevano. Così ho cominciato a lavorare prima per amici, poi l’amica dell’amica e grazie al passaparola mi sono ritrovata a trasformare la passione in qualcosa di più.
Devo essere grata a mio marito, che visto il tempo, di giorno e di notte, che dedicavo a studiare, a leggere, mi fece riflettere sulla possibilità di dedicarmi completamente alla fotografia, dandole lo spazio che reclamava. Un grazie speciale lo devo all’amico di Carrara, Nicola Giannotti, che mi ha insegnato tanto, mostrandomi il suo lavoro. Da perfezionista, qual sono, ho davvero studiato moltissimo per capire e imparare anche a post produrre, ma cocciutamente e rigorosamente da autodidatta, ho trovato la mia strada.
Oggi vivi e lavori a Milano, capitale della moda e della fotografia, dove hai trovato il tuo posto…
Milano è una buona piazza, ma è una vera giungla dove ci sono tanti fotografi e bravi. Il problema era l’autorialità, ovvero trovare la mia “firma”. Un incontro casuale con il grande Giovanni Gastel, fu illuminante: guardando le mie fotografie, mi consigliò di sottolineare la mia identità fotografica, di delineare con contorni netti ed inequivocabili, i miei scatti.
Monica Cordiviola la fotografa che ama le donne…
Amo ritrarre donne di ogni età, di ogni genere, ognuna con la sua storia, spesso scritta nelle sue movenze e da donna, credo di avere un vantaggio nel ritrarla. Mi viene spontaneo e loro sono a proprio agio in un rapporto più diretto, senza fronzoli.
Mi appaga riuscire a tirar fuori la loro essenza, il loro vissuto come la sinuosità che solo un corpo femminile possiede. Sono molto attenta all’armonia, alla delicatezza, a particolari che un uomo non credo possa vedere.
Nel farlo, mi rendo conto che il mio peregrinare per i musei, le chiese fiorentine, dove avrei dovuto, in realtà, fare giurisprudenza, erano una semina importante e destinica. Un altro indizio che, con i ritagli che collezionavo da bambina, tracciava in modo inequivocabile il mio identikit e il mio futuro.
Qual è il contesto ideale per le tue donne?
Sono contestualizzate, perché ogni persona ha bisogno del suo scenario. Quando è possibile preferisco fuori, lo studio mi annoia. Il ritratto è un incontro tra il fotografo e il suo soggetto con la palla al centro. Si gioca ad armi pari, deve esserci equilibrio.
Ovviamente lavorare fuori dallo studio è molto più impegnativo, non c’è nessuno schema luci e possono esserci imprevisti. Per lavorare all’aperto, mi preparo uno storyboard, faccio ricognizioni e scatti di prova per verificare l’intensità della luce. Tutto questo lavoro in più, però, è impagabile e credo che lo spettatore, chi guarda, in questo modo non si annoi mai.
È un viaggio ogni volta diverso e inaspettato, che mi dà la possibilità di diversificare ed esaltare la personalità che ritraggo e credo, di catturare l’attenzione.
Qual è il tuo lavoro oggi?
Faccio principalmente shooting professionali e mi definisco una ritrattista prestata alla moda e al mondo di Masterchef, perché sono sempre i visi e i corpi ad attirare la mia attenzione. Quando è possibile, anche con personaggi famosi, preferisco poco o niente trucco, meno filtri possibili.
Lavoro molto anche per privati, aziende e sono docente di fotografia in workshop in giro per l’Italia. Quando mi è possibile, faccio mostre dove libero la mia creatività e ritraggo le “mie” donne, prima ho del tutto spogliate e che oggi invece, mi piace fotografare anche vestite, tirandone fuori tutta la sensualità.
Ci sono incontri che sono stati fondamentali per la tua formazione?
Parlando di persone Efrem Raimondi, è e sarà uno degli incontri più importanti sia dal punto di vista umano che professionale. Efrem è uno tra i migliori ritrattisti della politica, della musica, delle star (tra cui Vasco Rossi), scomparso all’improvviso a soli sessantadue anni, all’inizio di quest’anno lasciandoci tutti orfani del suo grande talento.
Quando venni a Milano, fu il primo a chiedermi, via social un’intervista e di mandargli le fotografie delle mie donne. Alla fine, abbiamo fatto tanti workshop insieme, ma soprattutto siamo diventati amici. Mi ha davvero insegnato tanto e ho ricordi bellissimi di lui che conservo gelosamente.
Donna per le donne. Quando devi fotografare un uomo?
Cerco sempre e con più ostinazione, la loro parte delicata, che credo ci sia più o meno nascosta. Per esempio, ho fatto ritratti a Carlo Craco e anche con lui, nonostante passi sempre per essere un duro, ho scavato e si sa, chi cerca trova! In ogni caso cerco di fare in modo che le persone si sentano a proprio agio e di questo devo ringraziare mio papà che ci ha sempre tenuto molto.
Ricordati, diceva, che tu sia con una persona molto umile o al contrario molto importante e altolocata, non devi mai perdere di vista la persona, il rispetto per chi hai davanti a prescindere dalla sua posizione sociale. Un esercizio, un’educazione che fa parte di me e che mi facilita ancora oggi.
Come ti prepari?
Cerco di incontrarle prima, vedere come si muovono, osservarne le mani, la gestualità, cercando di capire quali siano i punti più vulnerabili. Le donne meno belle di solito sono più sciolte, le avvenenti, devono imparare a mettere da parte atteggiamenti forzati, convincendosi di non avere bisogno di ostentare. Ognuna ha il suo perché, io vado cercando la sua bellezza unica e irripetibile.
Qual è stato il momento, il lavoro che ti ha dato finalmente visibilità, facendoti entrare di fatto tra i grandi?
Il primo lavoro commissionato per Martina Colombari, mi ha regalato tanta visibilità e nonostante avessi già una bella carriera, la sua notorietà, mi ha davvero fatto fare un bel salto. Lavoro ancora oggi molto spesso con Martina, che mi definisce un generale e non posso darle torto.
Sono una super perfezionista, non lascio niente al caso e quella storyboard che scrivo, con le pose e la composizione, ce l’ho già chiara in testa. Amo moltissimo la montagna e l’arrampicata, uno sport che pratico con mio marito e che mi piace paragonare al mio modo di lavorare: non si può essere approssimativi, ma precisi.
Quella bambina che conservava ritagli di riviste, collezionando immagini di donne, è ancora parte di te?
A tutt’oggi conservo quella voglia di cercare e guardo film di nicchia, vecchie commedie, film francesi e ne colleziono immagini che mi rimangono in testa: oggi, però, a differenza di allora, ho la macchina fotografica in mano e la possibilità di trasformarle in immagini, le mie.
Oggi hai trovato la tua firma autorale e i tuoi ritratti sono inconfondibili…
Quando ritraggo una donna mi immedesimo nella sua fisicità e cerco di capire come vorrei essere ritratta se fossi in lei: questo è un autografo, la mia firma stampata nella fotografia d’autore. Bianco e nero perché mi ricorda la grana rumorosa della pellicola.
I ritratti puri, li preferisco in bianco nero. Sono più teatrali, molto contrastanti hanno carattere come me. Quando mi chiedono come arrivo a quello scatto, non so come rispondere perché mi arrivano dal cuore. Ognuno devo trovare la propria ispirazione, la propria strada.
Come ti definiresti?
Una fotografa che ama le donne, che va a caccia di sinuosità. Non amo definirmi, ma mi piace che siano gli altri a farlo, non importa se bene o male. Forse sono una che fa buona fotografia, non bella. Cerco di fare in modo che la mia fotografia ti rimanga in mente, questo vuol dire che ho fatto centro. La mia donna voglio che sia libera da preconcetti, da pregiudizi: libera di testa.
La musica nella tua vita che posto ha?
È una compagna di viaggio e mi accompagna quando lavoro. Ascolto un po’ di tutto dai Madrugada, alla musica anni ’90, Manu Chao, Buena Vista Social Club.
Scorrono i titoli di coda, il tempo è volato e ci siamo davvero divertite – chiosa Monica. Parlando con lei e soprattutto guardando quelle tante donne che ha ritratto, mi è assolutamente chiaro il perché sia lei la fotografa delle donne, e dico: “Insomma farsi fotografare da te, è come scegliere tra un bravo ginecologo o una brava ginecologa, non c’è storia!” – Brava! Scrivilo!
Questa è Monica Cordiviola, una fotografa, una donna.