Sabina Filice e il suo viaggio infinito con la fotografia
Una donna forte dalle tante fragilità
Sabina Filice, appare decisa ed estroversa. Eppure, osservandola attraverso le sue fotografie, scopriamo di lei una fragilità, che la rende speciale. Lei è una di quelle che ce l’ha fatta, partendo da zero senza appoggi o conoscenze. Sabina sa perfettamente quando ha capito che cosa avrebbe voluto fare nella vita e conosce il dolore, che può travolgere o spingerci, come un’onda anomala verso la realizzazione dei nostri sogni. Sabina è concreta, ha lavorato sodo per conquistare un’indipendenza che è stata, da sempre, il suo obiettivo. Deve il suo successo, oltre che al talento e alla determinazione, ad un incontro. Restia a raccontarsi, oggi ha deciso di intraprendere questo viaggio con me e la ringrazio per aver aperto il suo cuore. Una storia, la sua, che può essere di incoraggiamento a chi sta cercando dentro di sé, la propria strada.
Sabina, parlami di te…
I miei genitori sono calabresi ed io sono nata e cresciuta a Torino, che è la mia città. Oggi per motivi di lavoro, vivo a Roma, ma non appena possibile torno e, per questo, ho ancora casa. Mio marito è romano e facendo tanta TV e cinema, la capitale è diventata la mia seconda casa. Qui sono molto contenta per il lavoro e le relazioni che ho intrecciato, ma gli affetti, quelli del cuore sono ancora e, per sempre, legati alla “mia” Torino.
Se dovessi in poche parole, delineare i tratti salienti della tua persona, cosa diresti di te?
Sono affetta da tenacia, determinazione e da un’attrazione “fatale” e infinita verso l’altro. Amo me stessa, mi rispetto e allo stesso modo rispetto e amo gli altri. Sono libera e forte ma con tante fragilità. Queste, non sono limite ma attitudine a comprendere. Guardo con criticità quello che faccio, non m’accontento mai, chiedendo a me stessa, sempre di più.
Quando hai capito che la fotografia sarebbe stata così importante per te?
Una passione che ho avuto da sempre, ma l’evento che ha segnato indelebilmente, la mia vita e investito la fotografia del suo ruolo, è stata la perdita di mio padre. Avevo solo dodici anni e quella che avrebbe dovuto essere una meravigliosa giornata di festa, è diventata un punto di non ritorno. Ho visto mio padre morire davanti a noi, all’improvviso, per infarto. Quell’ultima gita domenicale, ci ha riservato sulla via del ritorno, il dolore più grande. Quello sguardo che chiedeva aiuto e implorava di non lasciarlo andare via, mi è rimasto impresso e scolpito nel cuore. In seguito, ho capito che i ricordi diventavano immagini sfuocate, che non volevo perdere. La fotografia è stata la risposta.
La fotografia è stata la risposta e ti ha indirizzata, spinta a trasformarla in un mestiere. Quali sono stati i tuoi primi passi?
Ho frequentato l’Istituto di grafica e fotografia, dove si lavorava ancora in camera oscura. Il mio chiodo fisso era l’indipendenza. Avevo vissuto il dramma di mia mamma che, oltre al dolore della perdita di papà, s’era trovata con due figlie piccole senza lavoro. La vita ci aveva scaraventate violentemente in una realtà che era sconosciuta per noi, una situazione che io mi ripromisi di non subire mai più.
Ho visto mia mamma faticare per arrangiarsi da sola e crescerci con mille difficoltà, questo mi ha spinta a costruire concretamente il mio futuro. Ho fatto un lavoro che mi permetteva di guadagnare bene e in sicurezza, a ventinove anni ho acquistato la mia casa.
Questo era da sempre un obiettivo e la risposta a quell’indipendenza che ritenevo essere fondamentale. Poi appena ho potuto, raggiunti gli obiettivi che mi ero prefissata, a trentacinque anni ho stravolto, in modo calcolato la mia vita.
Sapevo che volevo fare qualcosa di artistico, avevo un groviglio di serpenti dentro che si agitavano e mi spingevano a fare qualcosa per me. I miei migliori amici erano tutti musicisti, respiravo creatività. Ho fatto teatro, ho dipinto, fino a quando mio marito, con la concretezza che lo contraddistingue, mi ha iscritto a un corso.
Questo mi ha permesso di capire che era esattamente quello che volevo fare: ero in cassa integrazione, ma ho preso aspettativa e deciso di fare il salto. L’arte è parte di me e dovevo solo trovare quale fosse il miglior modo per esprimerla. La risposta, come ho detto è stata la fotografia. La possibilità di fermare il ricordo, cristallizzarlo, conservandone ogni dettaglio, soddisfava la mia fame di creatività.
I tuoi migliori amici sono musicisti…Che ruolo ha la musica nella tua vita?
Mi ha sempre accompagnata, ho sempre avuto intorno musicisti ed ha sempre esercitato un forte fascino. All’inizio, ho cercato anche di capire se fosse quella la mia strada, senza però, esserne convinta. Ho capito col tempo che è una compagna di viaggio, che sottolinea il mio lavoro, mi segue in ogni dove esattamente come gli amici più cari che sono, ancora e sempre, musicisti.
Che cosa è la fotografia per Sabina?
Guardando le foto, ricordo tutto: la sensazione provata, l’emozione. L’immagine diventa uno scrigno dove conservare ogni dettaglio, dall’abito, al profumo. Le stampo tutte per questa ragione, perché in quella fotografia che tengo tra le mani, c’è ogni ricordo e lì rimane.
Come è arrivata “la tua occasione”?
È arrivata con tantissimi sacrifici, stando fuori dodici, tredici ore. Un investimento su me stessa, davvero importante. Avevo capito che era fondamentale esserci, sempre e il più possibile ed è proprio ad uno dei tanti eventi che inseguivo, che incontrai Duccio Forzano, a Milano.
Mi sono avvicinata, senza conoscerlo e folgorata dalle sue parole, ho fatto qualche scatto. Lui diceva come fosse importante insistere, se si vuole riuscire. Io sono rimasta colpita dalle sue parole e qualche giorno dopo, istintivamente, l’ho contattato utilizzando il suo monito e le sue parole, quasi come battuta, dicendo che avevo recepito il suo messaggio e che avrei insistito.
La sua risposta è stata: credici e stressami. A distanza di un anno, gli ho mandato il suo ritratto, uno di quelli scatti fatti a Milano. Lui, a quel punto, inaspettatamente, mi scrive, chiedendomi di andarlo a trovare in studio a Che tempo che fa.
Che tempo che fa è stato il tuo “battesimo”?
Questo è stato l’inizio di tutto. Duccio mi ha voluto come fotografa, non di scena, ma sua. La mia postazione era dalla scrivania con i cameramen. Io ero incredula e so di avergli detto, senza vergogna, che era pazzo, che non avevo mai fatto niente del genere.
Duccio, dicevano in studio perplessi, che non aveva mai voluto fotografi in quella postazione. Io ero terrorizzata e sicura di sbagliare. Non sono nessuno – dissi- e mi ritrovo a Che tempo che fa! Lui mi rispose: “Ricordo che eri sottopalco. La donna, la tenacia c’era.
Sono andato a vedere se c’era anche la tecnica e l’ho trovata.”
Quello che so è che ha letto la mia voglia di riscatto e, per un attimo i nostri sguardi si sono incrociati. Ci siamo “visti” l’uno negli occhi dell’altro, capendoci.
Cosa ti sei portata via di quell’esperienza?
Finita la stagione, ci siamo salutati e in qualche modo mi ha incoraggiato ad andare avanti. Duccio Forzano mi ha dato una possibilità importante, che io ho colto e saputo sfruttare appieno. Ho cercato di imparare da tutti, dallo scenografo, dai tecnici, dal direttore della fotografia. Alla conclusione della stagione televisiva, sapevo con certezza che quello era il mio mondo, che il mio posto era lì. Oggi il Maestro mi guarda con ammirazione e io gli sarò grata per sempre per aver visto dentro di me, quello che ancora io non sapevo.
Da quella bella partenza, qual è oggi il tuo viaggio con la fotografia?
Ho girato tutti gli studi televisivi, facendo esperienza, entrando in contatto con tantissime persone. Da anni faccio i grandi eventi, come il Festival del Cinema di Roma e Venezia e il Festival di Sanremo. Parto avendo già i servizi commissionati, da vetrina.
Sono accreditata negli studi Rai, Mediaset, La7, Sky. Sono presente ogni volta che c’è un’anteprima delle fiction. Faccio tanto cinema e adoro i set dove mi muovo come se fossi a casa. Mi viene naturale e, forse, è quello che preferisco. Poi Book agli attori, con i quali mi piace lavorare anche per tutto lo studio che c’è dietro.
Quest’ anno, fortunatamente, ho fatto tante consulenze per le produzioni televisive. A facilitarmi è una buona capacità organizzativa, che ho coltivato col lavoro che ho svolto prima della fotografia e questo, non guasta. Oggi mi capita anche di fare l’ufficio stampa ad attori emergenti viste le tante conoscenze e contatti che ho collezionato. Insomma, fondamentalmente, non sono mai ferma e, anzi in continuo “subbuglio” creativo.
Se dovessimo idealmente viaggiare con te e le tue fotografie, che viaggio sarebbe?
Un viaggio infinito, dove spero di non arrivare mai: le emozioni sono molteplici e vado a cercarle, senza fermarmi. Il viaggio è crescita e credo, anche sinonimo d’intelligenza. Sono introspettiva e questo si legge anche nei miei scatti, dove la tecnica è importante, ma il ritratto è fondamentale. Non faccio lo scatto continuo ma mi piace riflettere, osservare e solo dopo, con calma, scattare. Ho già in testa cosa sto cercando e lo vado a cercare. La fotografia è anche pazienza e attesa.
Il Festival del Cinema è un po’ la tua casa. Hai il privilegio di fotografare i grandi, raccontaci…
Ho avuto la fortuna di fotografare tanti, tra cui Meryl Streep, Robert Redford, Brad Pitt. Mi ha colpito moltissimo Geraldine Chaplin sul set, dove riusciva a trasmettere un pathos incredibile, senza rinunciare, non appena aveva un attimo, a stringersi a suo marito.
Lady Gaga è arrivata a Venezia, sotto la pioggia battente e, rifiutando di essere riparata ha sorriso e incontrato i suoi fans, senza lesinare selfie e autografi. Potrei andare avanti per ore ma mi fermo qui con Di Caprio che si è guadagnato il mio premio “speciale” come il più indisponente…
Grandi eventi e anche grandi reportage…
Porto nel cuore il reportage a Lonavala in India organizzato con l’aiuto di Action Aid di Mumbai. Un servizio che a livello umano mi ha segnata e regalato moltissimo. Un altro in Messico, partendo da Città del Messico fino ad arrivare sulla costa a Playa del Carmen.
Due viaggi ricchi di colori, occhi grandi e intensi che ridono alla vita, un vero parco giochi per chi come me, ama fare ritratti e immortalare i segni del tempo sul viso.
Ci salutiamo, consapevoli che ci sarebbe ancora tanto da dire e con la voglia e la promessa di incontrarci di persona. Sabina è davvero “tosta”, ma a colpirmi è stata la sua “forte fragilità” con cui firma i suoi scatti, speciali ed intensi.
Articolo a cura di Paola Ferro