Vincenzo Corsini, storia di “Un tarantino all’estero”

Vincenzo Corsini

DiscoPogo è una band italo-polacca capitanata dal tarantino Vincenzo Corsini. Dopo anni sui palchi dell’est Europa, Vincenzo ha deciso di tornare in Italia, non prima di incidere le ultime canzoni contenute nell’album Italian Job vol.I. In esse ha voluto racchiudere tutte le sue esperienze, problemi e delusioni, che risultano essere comuni a molte persone, soprattutto delle generazioni X, Y e Z.

Ciao Vincenzo, innanzitutto mi piacerebbe parlare di questa tua esperienza all’estero dove ti sei “divertito come un pazzo sul palco con pubblici via via più numerosi”…
Eh sì, fare concerti è la cosa più divertente. Per quell’ora e mezza o due su quel palco stai trasmettendo le tue sensazioni, le tue idee, i tuoi pensieri agli altri. E di rimando ricevi dal pubblico sensazioni, idee, emozioni che ti tornano indietro o amplificate o modificate. In quei momenti capisci che, nonostante radio, TV, etichette ti abbiano snobbato, quello che fai ha senso per qualcuno. L’autunno prima del COVID abbiamo suonato ben 16 concerti in due mesi, facevamo interi weekend di concerti per locali in giro per la Polonia, tra paesini e città. Dopo molti locali hanno chiuso, molti festival sono ripartiti da zero e anche noi abbiamo fatto tabula rasa tra i nostri contatti di chi aveva imparato ad apprezzarci. Purtroppo il mancato sostegno di un’agenzia o di un’etichetta non ci hanno permesso di fare poi il “grande salto”.

Per quale motivo hai deciso di fare ritorno in Italia?
La mia band, i DiscoPogo, per molti anni sono stati l’unica vera fonte di gioia vivendo all’estero. Nonostante lo standard di vita sia molto alto lì, mi mancavano molti aspetti del modo di vivere italiano. Da un lato ammetto che la tecnologia, la burocrazia, il mondo del lavoro erano a
livelli altissimi: tutto fattibile online, sanità pubblica eccellente, diritti dei lavoratori purtroppo impensabili al sud, comodità nella vita quotidiana molto avanti. Ma l’altra faccia della medaglia era che mi mancava il calore della gente, la creatività innata dell’Italia, per non parlare del cibo, del sole e del mare della mia Puglia. La testa diceva Polonia, ma la mia salute psico-fisica aveva davvero bisogno del sud. Del resto è già venuto a trovarmi un membro della band e mi ha detto che in 7 anni non mi aveva mai visto così sorridente come adesso.

Dal punto di vista musicale invece come nasci, quali sono i tuoi artisti di riferimento?
Suono in gruppi musicali da quando avevo 14 anni. Se da un lato mi attiravano le cose “di moda”, quelle mostrate da Mtv, i vari Brit Pop, Grunge, ecc. dall’altro avevo altri esempi musicali. Col senno di poi mi rendo conto di quanto abbiano influito sul mio modo di fare musica Franco Battiato e Rino Gaetano, ma anche gli altri cantautori italiani come Guccini o De André, Camerini, Fortis… Per molti anni avevo anche una specie di feticcio nei Rolling Stones, che mi hanno aperto tutto il mondo della musica anni ’60/’70. Al momento ad esempio ritengo che i Beatles abbiano dato molto più alla musica di quanto si possa pensare. Per anni, tra liceo, università e vita all’estero ho sperimentato vari generi, dal folk al prog per approdare, con gli Ossesso prima e coi DiscoPogo poi, all’idea di un “misch a misch” musicale, basato sul funk rock dei Red Hot Chili Peppers e sulla creatività degli Shaka Ponk ma cercando sempre nuove idee. Negli ultimi nostri lavori si sente molto questa costante voglia di sperimentare con attenzione e cosa riesci a trasmettere con ciò, perché è la parte più divertente del processo creativo. Nonché la più pericolosa: in radio o in TV mettono quello che sanno definire. Se fai qualcosa cui gli altri non sono in grado di dare un nome, non lo condivideranno. Vedi Frank Zappa: divenne famoso grazie a un pezzo tutto sommato “commerciale” e solo allora fu in grado di mostrare a un vasto pubblico gli altri pezzi che fino ad allora erano di nicchia.

L’ultimo lavoro dei tuoi DiscoPogo è Italian Job vol.I, vuoi parlarcene?
Ero già in procinto di lasciare la Polonia, progetto su cui stavo lavorando da tempo. E in quel tempo la nostra creatività era particolarmente attiva, scrivevamo canzoni a manetta, a mio parere più interessanti e mature di prima. Ci ho voluto versare tutte le mie sensazioni riguardanti gli ultimi anni tra COVID, problemi di lavoro, incomprensioni generazionali, guerre (quella in Ucraina la sentivamo molto vicina). Ci tenevo molto ad inciderne almeno una parte, abbiamo scelto 5 pezzi: Miss Skazzo (critica di una certa “élite culturale”), La mia canzone (dedicata a mia moglie), Italian Playa Night (canzone che critica l’attuale sistema lavorativo ma in stile Battiato, esplodendo in un ritornello da hit estiva), Dimmi che (melanconico ricordo di quello che eravamo quando volevamo cambiare il mondo) e la cover L’estate sta finendo (suonata alla maniera DiscoPogo, cioè mischiando vari generi in uno). Un po’ per scaramanzia, un po’ per ingenua speranza ho lasciato il “vol.I” nel nome: vorrei tanto riuscire a incidere i restanti 6 pezzi, cosa possibile solo se questa prima parte riuscirà finalmente a raggiungere un pubblico più ampio.

Ti definisci un “non romantico”, ma poi hai sfornato un pezzo romantico come “La mia canzone”…
Per mia moglie avevo già scritto un pezzo rock, in polacco. Il titolo è “Ona nie tańczy” e fino all’ultimo è stata la canzone con cui concludevamo i nostri concerti. Pezzo rock orecchiabile e divertente, si tratta di una risposta a quelle canzoni pop che descrivono le donne come prodotto in vendita, mentre io sottolineo che lei non si piega alle mode, ma ama andare ai festival con gli anfibi anziché mettersi in mostra coi tacchi a spillo. Per anni mi ha punzecchiato sul fatto che però l’ho scritta più di 10 anni fa, sarebbe ora di una nuova dedica, sottolineando che io sono l’antitesi della romanticità. Mentre eravamo in sala prove col chitarrista, lavorando su una nuova melodia, anche lui se ne usci con un “ma perché non scrivi un testo romantico?”. A quel punto mi venne voglia di parlare proprio del fatto di come fosse difficile per me esprimere i sentimenti che ho nei confronti della mia consorte. E lentamente il testo si è formato per come lo conosciamo oggi.

Come hai detto tu hai stravolto un classico estivo come “L’estate sta finendo”, una bella provocazione, un po’ come la pizza con l’ananas…
La copertina con la pizza e l’ananas è uno scherzo che mi hanno fatto gli amici della band, sapendo come la penso al riguardo. Ad ogni modo esprime in un certo senso il nostro modo di fare musica, quando vogliamo unire “sapori” che in teoria non c’entrerebbero niente tra di loro. Dal vivo il pubblico capisce questo mix. L’estate sta finendo non ha l’obiettivo di essere una provocazione ma un nostro modo di suonare un classico, divertendoci e non prendendoci mai sul serio. Ho parlato prima di rock, ma negli anni ho imparato ad apprezzare quella che per certi versi è la sua antitesi: la musica disco. Già nel nostro album di oltre 2 anni fa inserimmo un pezzo in stile italo disco (prima che tornasse di moda), si chiama FeliciFunk. E con questo spirito, dell’ostinarci a non vedere differenze tra i generi musicali, abbiamo approcciato il pezzo. Io stesso avevo dubbi se saremmo riusciti a suonarlo in stile DiscoPogo, ma dopo la prima volta in sala prove non ho più avuto dubbi. Dal vivo suonarla è un vero divertimento. L’inizio lento inoltre mi fa pensare che in origine i Righeira l’avessero effettivamente scritta a mo’ di ballata, aggiungendo il ritmo disco solo in seguito. Ma questo saprà dircelo solo Johnson Righeira…

Oggi imperversano i Talent, tu parteciperesti?
No categorico. Perché la nostra musica non è da primo ascolto, va riascoltata per capirla. Fermo restando l’altissima qualità di molti degli artisti che vi partecipano, hanno un minimo comun denominatore che è l’essere facilmente riconducibili a qualcosa di già conosciuto.
Noi con la nostra musica forse ci diamo la zappa sui piedi, ci allontaniamo troppo dai canoni del mercato, cosa che negli anni ’70 era apprezzata, mentre adesso è un peccato mortale da condanna a restare solo nei giri “minori”, di nicchia. Ricordo che le prime edizioni dei talent show valorizzavano ancora la diversità, l’originalità; basti pensare agli Aram Quartet o alla voce di Giusy Ferreri nei primi sui brani. Adesso invece omologazione piena, da happy meal identico in ogni angolo della terra. Gli stessi Maneskin avevano un potenziale enorme e musicalmente sono da standing ovation, ma per restare dove sono hanno scelto la strada del fare canzoni con lo stampino e guadagnare di più anziché sviluppare una propria individualità.

Prima dei saluti parlaci un po’ dei tuoi prossimi progetti?
L’unica cosa che mi manca davvero della Polonia sono i DiscoPogo, sia come musicisti, sia come amici. Non so se formerò una nuova band al momento, ma sto proseguendo con la scrittura di brani per me e di testi per la band (il processo creativo prosegue anche a distanza e anche per i loro nuovi progetti), e ho un forte desiderio di scrivere un musical o meglio una rock opera: ho avuto il piacere di lavorare in un Teatro Musicale, ho approfondito molto questo tipo di arte e da anni ho nel cassetto dei primi schizzi di Musical, che ho lasciato da parte per lavorare per le canzoni del gruppo. Comunque vada la musica non mi abbandonerà mai, così come i 5 minuti di gloria davanti a 6000 persone, come ospite di una band famosa dell’Est che mi invitò a cantare la versione italiana che feci di una loro hit.

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Ruggero Biamonti
Ruggero Biamonti
Autore con esperienza decennale presso importanti realtà editoriali quali Rumors.it (partner di MSN), Vivere Milano, Fondazione Eni e Sole 24 Ore Cultura, si occupa di temi che spaziano dall'intrattenimento al lifestyle.
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